ROMA-Metti che al mio compleanno…una cifra bella tonda di anni, quasi quasi ci faccio una festa. E metti che invito tutta la famiglia e, già che ci sono, tutto il condominio che è tanto tempo che viviamo nello stesso palazzo e cortile. E tutti gli amici perché in fondo in questi decenni abbiamo condiviso non solo il tempo e lo spazio ma spezzoni di vita, vita comune perché l’un senza l’altro, la vita di nessuno sarebbe stata come è stata. Bene, faccio la festa, diramo gli inviti.
Metti però che lo zio che abita in Sicilia faccia sapere: tanti auguri però io a Roma non vengo, perché non ci sono i cannoli come laggiù, perché gli arbitri di calcio hanno sempre penalizzato le squadre siciliane e perché abito in Via Garibaldi che lui proprio non lo sopporta perché: se Garibaldi non veniva in Sicilia…Metto che lo zio che abita in Alto Adige faccia sapere: innazitutto non chiamarlo Alto Adige ma Sudtiroler e poi il loden non me lo levo mai e con il loden a Roma fa caldo e poi i tassinari romani non capiscono il tedesco e a lui piace parlare tedesco e poi gli tocca incontrare “italiani” e poi sta a vedere che qualche “italiano” gli rinfaccia gli otto euro che come cittadino di lassù ogni mattina si trova sul comodino, pagati dagli “italiani”, dalle loro tasse per finanziare l’autonomia della sua terra.
Poi c’è il cugino “padano” che verrebbe pure alla festa, anzi ci viene. Però precisa che lui non può brindare, glielo impedisce la sua sensibilità. E’ “astemio” rispetto ai compleanni, soprattutto il tuo: se viene si astiene, se ne sta in un angolo e devi dirgli grazie e non devi chiedergli di sorridere, no questo no. Poi c’è il cugino imprenditore: lui viene ma a condizione che non debba pagare il ticket sul parcheggio, non ha soldi da buttare. E i condomini, i condomini vengono ma hanno fatto sapere che i lampioni in cortile e la luce nelle scale del palazzo va spenta alle dieci perché altrimenti la bolletta cresce. E gli amici? Gli amici sì, vengono. Ma fanno sapere: l’uno che coglierà l’occasione del tuo compleanno per deprecare e denunciare quella volta che finiste in classe insieme a scuola, lui la considera una “annessione”. L’altro che non potrà fare a meno di pronunciare due parole di circostanza, quelle che servono a ricordare che ci siamo conosciuti e frequentati e non c’è niente da fare, però se non ci fossimo mai conosciuti e frequentati saremmo stati tutti meglio.
Metti che vada così e allora che fai? Lasci perdere, ti accorgi che non è una famiglia unita ma un parentado acido. Che non è un condominio ma una catasta di appartamenti barricati l’un contro l’altro. Che non sono amici ma conoscenti per caso e per forza. Lasci perdere la festa, non è il caso. Ogni riferimento alla festa dei 150 anni dell’unità d’Italia è voluto e preciso. I personaggi non sono casuali, tanto meno inventati. Il governo che non sa decidere se è festa o no. Il ministro dell’Istruzione Gelmini che vuole le scuole aperte il 17 marzo, due parole dalla cattedra e via. Il ministro delle Riforme Bossi che smoscia e sgonfia: “Festa sentita diversamente nei diversi luoghi a seconda delle sensibilità”, cioè lo sdoganamento diplomatico e preventivo del “chi se ne frega”. Gli imprenditori tutti e anche un po’ di sindacati che per la festa non vogliono spendere neanche i soldi di piatti e bicchieri di carta. Il governatore Durnwalder e il governatore Lombardo. E vai in libreria ed è pieno di “istant-book” che dicono che il Risorgimento, sì insomma Mazzini, Garibalbi, Cavour erano minoranza e avventura, quando non imbroglio e violenza.
Lasci perdere, meglio lasciar perdere la festa perché non c’è festa. E in fondo, al fondo di te stesso, partecipi anche tu allo smontaggio della festa. Famiglia, condomini e amici te li trovereresti volentieri fuori d’Italia. Se avessi trenta anni, dall’Italia te ne andresti. L’Italia di anni ne ha 150 e andarsene da se stessa non può. Però hai il sospetto che, potendo, lo farebbe volentieri.