ROMA – Gianrico Carofiglio lascia la magistratura per la scrittura a tempo pieno. Al contrario di colleghi come Antonio Ingroia, Carofiglio ha spiegato che solo così si sentirà libero di dire quello che pensa.
Avrebbe dovuto tornare a fare il giudice a Benevento, dopo la pausa per dedicarsi alla politica attiva. Ma a 52 anni compiuti, di cui 22 negli uffici giudiziari e gli ultimi 5 in Senato per il Pd, Carofiglio ha deciso di dire addio definitivamente ai tribunali.
“È stata una decisione difficile ma necessaria perché non potevo più svolgere la mia funzione con la dignità e l’impegno necessari, come ritengo di aver sempre fatto”, ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera.
“Prima facevo il magistrato e scrivevo libri nel tempo libero, ora quel ruolo è divenuto predominante e dovrei fare il magistrato nel tempo libero, tra la scrittura, un convegno, la presentazione di un libro. Non sarebbe dignitoso”.
Carofiglio racconta di aver imparato proprio in Parlamento ad avere “una libertà di espressione che facendo il magistrato non potrei più esercitare; giustamente, peraltro. Ci sono degli obblighi di riservatezza che chi veste la toga deve osservare, e sinceramente non mi va di rinunciare a dire quello che penso. Non solo come politico, ma anche come cittadino che ha a cuore la vita collettiva. Perciò me ne vado”.
E con un riferimento indiretto a suoi colleghi come, probabilmente, lo stesso Ingroia, ha aggiunto:
“Penso pure che i magistrati non siano cittadini di serie B, e dunque abbiano diritto di tornare a fare il loro lavoro una volta usciti dal Parlamento, come tutti. Rispettando delle regole, però. A parte quelle imposte dalla legge e dal Csm, come il cambio di sede e di funzioni, credo che quando uno rientra debba farlo senza tentennamenti, tornando a immergersi nel proprio ruolo. Ogni cittadino ha diritto di trovarsi di fronte un giudice che fa solo il giudice, senza pensare ad altro. I rientri perplessi, mentre si continua a fare politica in maniera più o meno esplicita, non mi piacciono. Non si può rimanere con un piede in politica e uno in magistratura”.
Carofiglio non risparmia critiche alla magistratura stessa:
“Negli uffici giudiziari si respira un clima di burocratizzazione e spirito impiegatizio che in parte è figlio del conflitto con la politica. La sfiducia reciproca tra i due mondi ha prodotto un arroccamento dei magistrati sulle proprie posizioni. Insieme al contrasto pressoché permanente col potere politico s’è instaurata una visione del ruolo molto incentrata sui carichi di lavoro, anche per timore di procedimenti disciplinari, che non mi entusiasma”.
Non mancano le critiche a parte del mondo politico: “L’anomalia berlusconiana ha prodotto i guasti che tutti ormai riconoscono e di cui continuiamo a pagare le conseguenze”. E per quanto riguarda il Pd
“ho rifiutato di partecipare a quella falsa prova di democrazia interna che sono state le primarie per le candidature alla Camera e al Senato. Giusto farle per posti di responsabilità diretta e a elezione diretta, come quello di sindaco, ma per il resto mi sono parse un’operazione molto discutibile. Sono state il primo errore del Pd, di cui continuo ad essere un elettore, proseguito con l’incapacità di comunicare le scelte politiche. Io immagino che un messaggio politico, oltre che credibile, debba essere semplice, inatteso, concreto, sorprendente e capace di produrre emozioni. Purtroppo Bersani, che sarebbe stato un ottimo presidente del Consiglio, era solo credibile. Per questo abbiamo perso”.
La vittoria alle comunali? “Un’opportunità che non va sprecata”.