C’è lo sciopero dei giornalisti. Uno sciopero che non ci doveva essere. Come diceva una vecchia comica gag, “per questo, questo e quest’altro motivo…”. Non ci doveva essere per un motivo, per dirla fina, “ontologico”. Cioè relativo alla natura di ciò che è, al come e perchè esiste una realtà. Non ci doveva essere lo sciopero perchè non ci doveva essere, neanche doveva venire in mente, una legge che boicotta le indagini giudiziarie e ne punisce la pubblicità. La prima cosa più grave e inaudita della prima: più e peggio che una “legge bavaglio”, quella in cottura è una “legge ganascia”: blocca, consapevolmente blocca, le ruote della giustizia. Voglia di “bavaglio” o almeno di “fazzoletto sulla bocca” aveva nutrito anche l’ultimo governo di centro sinistra. Nessuno può dire cosa sarebbe diventato il disegno di legge Mastella, di certo antipatizzava nella sua prima stesura con la piena informazione. Ma “legge ganascia” di certo non era, non faceva guerra alle intercettazioni come strumento di indagine.
Legge inaudita quella di Berlusconi, del Pdl e della Lega che apertamente confessa essere la “paga” la Berlusconi in cambio del federalismo, perchè nessuno al mondo ne pensa e ne fa una uguale. Magari il mondo scivola verso un eccesso di controllo causa sicurezza sociale minacciata. Tutto il contrario dell’Italia che si avvia a perseguire e punire solo il crimine “stupido”. Quello astuto e informato, quello che saprà fare slalom tra i limiti temporali alle intercettazioni, il diritto a rifiutare il giudice, l’impossibilità di trasferire prove da un processo all’altro, questo tipo di crimine abile e furbo si vedrà facilitato, di fatto perdonato a priori. Ma questa è l’Italia che c’è e, quando si dice Italia, non si intende solo il governo e la maggioranza parlamentare.
Non ci doveva essere questo sciopero anche per argomenti e motivi “minori”. Nonostante piaccia giocare e consolarsi con frasi ad effetto, effetto solo acustico, il “silenzio non grida”. Tradotto: stare senza informazione un giorno non è proprio la reazione più logica e conseguente se l’informazione te la stanno levando o “tagliando”. Secondo motivo: non sarà silenzio generale e assoluto. Alcuni quotidiani saranno in edicola e, quel che è peggio, la tv, le tv, faranno finta di stare in silenzio. Forniranno “notiziari ridotti”. Con quel che ogni giorno passa il convento dei tg, saranno notiziari migliori. Non proprio, anzi per nulla l’effetto di una giornata senza notizie. Terzo motivo: è andata nel dimenticatoio la circostanza per cui lo sciopero era stato indetto il 9 luglio perchè si pensava questo fosse il giorno in cui la legge cominciava ad essere votata. Non sarà il 9 luglio, forse sarà a settembre. Che si farà quel giorno se oggi si sciopera, si assalirà il “Palazzo d’autunno”? Quarto motivo: di che pasta e fibra e qualità è fatto il giornalismo italiano si vedrà non nel giorno degli scioperi ma nelle settimane e nei mesi della legge vigente. Allora si vedrà quale prezzo il giornalismo è disposto a pagare da atti di disobbedienza civile. Prezzo un po’ più alto di una giornata in busta paga. Quinto motivo: la qualità e la fibra del giornalismo italiano è stata sfibrata e lisa dalla regola redazionale adottata e praticata a destra e a sinistra, quella per cui la verità non deve far ombra alla notizia. Se non avesse gioiosamente obbedito a questa regola eticamente volgare, il già misero alibi della difesa della privacy sarebbe evaporato nelle mani di Berlusconi e del governo.
Non ci doveva essere lo sciopero dei giornalisti, ma sciopero e anche di più ci doveva essere. Non dei giornalisti ma di tutti. In questi giorni hanno scioperato i magistrati, gli autoferrotranvieri, i fornitori delle farmacie…E hanno minacciato scioperi i medici, i veterenari, i portatori di handicap, i precari e i fissi della scuola e dell’università, i prefetti, i ministeriali, gli attori, gli orchestrali, i dipendenti Rai…Più o meno tutti, tutti in sciopero o quasi, uniti nella rivolta e lotta alla manovra Tremonti. Rivolta guidata dagli eletti e dai Governatori, Sindaci e Presidenti di Regioni, Comuni e Province. Non si è levato solo un grande mugugno dal paese, è stata un’autentica reazione di rigetto. Rigetto verso la diminuzione della spesa pubblica. Rigetto di popolo di Palazzo. Non risulta che avvenga altrettanto in Francia, Germania e Gran Bretagna che pure tagliano la spesa pubblica più di quanto non si faccia in Italia. Quando vuole, quando sente che sono fatti suoi, la “società civile” italiana sa “scioperare”.
Analogo sentire nel paese non c’è sulla legge “ganascia e bavaglio”. E questa assenza non è una novità, anzi è una costante. Un giorno Silvio Berlusconi ha detto: “Governare con la Costituzione è un inferno. Questa Costituzione è stata fatta dopo il fascismo, risente della preoccupazione che la dittatura possa ripetersi”. Parole sue: la Costituzione fu concepita e assemblata come antidoto al ritorno di una dittatura. Il capo del governo dice, lo dice lui, che l’antidoto va rimosso o almeno fortemente annacquato. Lo dice lui e il paese, l’Italia che dice? Dice: “Tanto poi non lo fa, tanto poi non succede…”.
Un Giorno Silvio Berlusconi ha detto: “L’unica sovranità è quella del popolo e l’unico depositario di questa sovranità è l’eletto”. Il resto è ingombro e ostacolo, ostacolo e impiccio alla volontà della maggioranza. Ora storia vuole, scrive e insegna senza eccezione che la democrazia è quel sistema che “impedisce” alla maggioranza di far quel che gli pare. La democrazia è quel sistema inventato per “impedire” che il “sovrano”, sia esso il popolo elettore o il governo eletto, possano agire senza limiti, confini e controlli. Limiti, confini e controlli che sono “consustanziali” ad ogni Costituzione di ogni paese della democrazia occidentale. Sì, i Parlamenti, la magistratura, le Corti Supreme, i “Corpi intermedi” della società e delle istituzioni sono stati lì messi apposta per “impedire” che la sovranità dell’elettore e dell’eletto comandi ed operi senza il filtro delle regole di garanzia collettiva. Berlusconi dice che tutta questa roba non è democrazia. Lo dice lui e il paese che dice? Dice: ma tanto non li leva di mezzo, tanto non lo fa, tanto poi non succede…”.
Un giorno Silvio Berlusconi ha detto: “Di libertà di stampa ce n’è fin troppa”. L’ha detto, chiaro, tondo e convinto. E il paese cosa ha detto? Ha detto e dice: sì, ma tanto poi non lo fa, tanto poi non succede…
Bene, lo sta facendo. Sta stabilendo per legge il principio che il potere esecutivo decide e autorizza ciò che della vita associata può essere reso noto e pubblico. Se non fosse tragicamente ridicolo, sarebbe appropriato il paragone esplicativo con il Milan che vieta di pubblicare ciò che si sa dello “spogliatoio” per non compromettere i risultati della squadra. Sta stabilendo la mutazione per legge del diritto a vietare comportamenti illegali, la fuga di notizie, in diritto del governo ad autorizzare ciò che si stampa. Sta cercando di stabilire in Costituzione che la sovranità e il sovrano sono “assoluti”, cioè letteralmente sciolti da vincoli. Lo sta facendo: quello che nelle democrazie occidentali nessuno, nell’occidente liberale, nessuno ha fatto da due secoli e che nessuno ha tentato di fare in Italia dal 1945.
Lo sta facendo, sta allestendo un altro “regime”. Regime non è sinonimo di dittatura, significa solo l’uno o l’altro sistema di leggi e poteri in cui si esercita la sovranità e si svolge la vita collettiva. Il regime in allestimento è altro e diverso da quello della democrazia liberale. Peggio o meglio che sia il paese può deciderlo, alla sola condizione che se ne renda conto, che non se ne freghi o non si illuda che poi tanto non lo fa…
E allora veniamo al nocciolo della questione dello sciopero che c’è e non ci dovrebbe essere, quello dei giornalisti, e di quello che non c’è ma dovrebbe esserci, quello del paese. Che “regime” c’è nel cuore, nella testa, nelle fibre, nella coscienza, nell’intelletto, nella qualità civile degli italiani? Un “regime” che dice purtroppo senza tema di smentita che se Berlusconi avesse potuto regalare cento euro al mese di tasse in meno per ciascuno, le intercettazioni le avrebbe potuto anche cancellare e pure istituire il ministero della “Stampa ottimista e rispettosa”. Lo avrebbe potuto fare senza strepiti e clamori, con successo di pubblico e di critica. Se fatica a farlo, se forse s’incarta, è perchè le tasse non le può abbassare e la spesa pubblica la deve tagliare. Contro questo “regime”, contro questa “costituzione materiale” sostanzialmente accettata e condivisa dal paese, non c’è sciopero di giornalisti che tenga e non c’è possibile sciopero del paese. I connotati della democrazia liberale, con annesso corollario di magistratura indipendente e stampa libera da autorizzazioni, sul mercato della pubblica opinione valgono poco.
Non fosse così, ci sarebbe “sciopero” contro la regola delle intercettazioni possibili solo per 75 giorni. E perchè 75 o 6o o 12o o duemila? Non è il numero che conta, è l’idea manifesta che le intercettazioni sono un fastidio da contenere, un’arma da spuntare in mano ad un avversario: il controllo di legalità. Non fosse così, sarebbe quello che dovrebbe essere: lo sciopero di tutti. Quello dei giornalisti è nella migliore delle ipotesi un pallido e insipido surrogato.