ROMA – Se c’è un Giro dei Paesi baschi, perché dovrebbe suscitare scalpore il Giro della Padania? Domani, 6 settembre, la partenza della corsa ciclistica fortemente voluta da Umberto Bossi in persona, cercherà di contaminare con una bella razione di verde la prevedibile marea rossa dello sciopero generale indetto dalla Cgil. E questo non sarà che un “debut”. Perché la prima tappa Paesana-Laigueglia è solamente il ghiotto antipasto di un’offensiva mediatico-propagandistica in grande stile: più popolare della Nazionale di calcio padana, con più appeal del concorso miss Padania, il Giro della Padania è organizzato con tutti i crismi e, almeno da un punto di vista sportivo, è una corsa di di un certo prestigio.
L’allenatore della nazionale osserverà entusiasta e prenderà appunti per il Mondiale imminente. Il Giro si svolgerà in 5 tappe, vi parteciperanno anche grossi nomi del professionismo, a partire da Ivan Basso, 20 squadre professioniste, coinvolgerà 800 persone, la Rai coprirà l’evento. La Gazzetta dello Sport, fedele al rosa, non si spreca più di tanto e gli dedica, il giorno della punzonatura, giusto un articoletto. Ma lo sponsor ufficiale è l’Alitalia, che come compagnia di bandiera risulta esposta a un po’ troppi venti. Con i già programmati giri del Lazio, del Veneto e del Piemonte non c’è partita: la crisi economica li ha fatti sparire.
Partenza e arrivo non sono stati decisi a caso. Paesana, nel cuneese, potrà esibire un’altra medaglia al valor padano dopo quella di ospitare le sorgenti dove il Senatur attinge l’acqua per la sacra ampolla del dio Eridano, volgarmente il Po. L’arrivo è previsto a Montecchio Maggiore, Vicenza, in concomitanza con la Festa della Lega. In effetti non c’è bisogno di un esperto di dottrine politiche per capire che il Giro è una manifestazione targata Lega. Il primo della corsa indosserà la maglia verde, of course. Scatenando la reazione degli antipatizzanti, alla testa dei quali è scattato il segretario di Rifondazione Comunista.
Per Ferrero, che ha scritto anche al Presidente della Repubblica, questa iniziativa, avallata dal Coni, è incostituzionale. Per il semplice fatto che la Padania non esiste, se non nei sogni di un gruppo ristretto o nei suoi slogan secessionisti. Il contro-giro ha arruolato vari sabotatori, che se hanno rinunciato all’idea di disseminare il tragitto di chiodi fora-gomme, hanno organizzato varie trappole e contestazioni. L’obiettivo è di interrompere o almeno rallentare la gara. Ciò che è intollerabile per Rifondazione Comunista e non solo, è il carattere totalitario della manifestazione: troppo simile alle parate sportive di regime organizzate in Germania e Italia negli anni ’30. Il paragone è forte ma non del tutto ingiustificato. Magari parziale, visto che lo sport dei regimi ex comunisti non è che fosse inteso molto diversamente.
La domanda più pertinente, come al solito, sembra essere un’altra: chi paga? Cioè, è giusto che un capriccio di Bossi lo debba pagare uno che non vota Lega, che detesta anche la sola idea di Padania, che vive, per dire, a Canicattì? L’ambizione di diventare come i paesi baschi è legittima, siamo in democrazia: comportarsi come se davvero esistesse un’entità del genere in Italia è quantomeno prematuro. Anche la propaganda ha dei limiti: il termine tecnico è pubblicità ingannevole. Come le magnifiche sorti e progressive del federalismo realizzato.