ROMA – Una dimenticanza, un’amnesia collettiva o comunque qualcosa di minimo di cui non vale occuparsi, un particolare che a tornarci sopra si passa per pedanti pignoli. A pagina 142 della sentenza con la quale Fininvest viene condannata a pagare 560 milioni di risarcimento c’è scritto, nero su bianco, che Silvio Berlusconi fu a suo tempo il consapevole regista della corruzione mediante denaro di un giudice della Repubblica italiana. Non fu condannato, come accadde a Cesare Previti e Vittorio Metta, perchè una innovazione legislativa, Berlusconi governante, abbassò i tempi di prescrizione e quindi il reato fu “prescritto” in sede penale: processo estinto. Ma ora il paese sa, se lo vuol sapere, che Silvio Berlusconi corruppe un membro della magistratura. Un particolare pignolo. L’attenzione è tutta sulla rivalità tra lui e Carlo De Benedetti, sul pagherà o non pagherà la Fininvest, sulla eventuale leggina in Senato per non pagare, sulla entità del risarcimento, sui riflessi della sentenza sull’umore politico del premier. Giusto così: “de minimis non curat praetor”. Un paese moderno e maturo non perde tempo e non fa troppo caso a simili inezie: il capo del suo governo corruppe un giudice, e che vuoi che sia? Al massimo, la scoperta dell’acqua calda.