ROMA – “Il potere logora chi non ce l’ha”, diceva. E infatti a lui ha permesso di vivere intensamente per ben 94 anni. Giulio Andreotti è morto il 6 maggio del 2013 a Roma. Lì era nato il 14 gennaio del 1919.
Il “divo” Giulio, com’era stato soprannominato, potrà essere ricordato nei modi più diversi. Ma di certo è stato uno dei pilastri, nel bene e nel male, su cui si sono fondate la Repubblica e la politica italiana.
Il primo avvicinamento alla politica risale al 1939: un ventenne Andreotti entrò nell’Azione cattolica, scrivendo anche per la Rivista del Lavoro, organo di propaganda fascista. Eletto nell’Assemblea Costituente, venne segnalato da papa Pio XII ad Alcide De Gasperi, che lo nominò sottosegretario del suo governo. E’ stato uno dei principali esponenti della Democrazia Cristiana, protagonista della vita politica italiana per tutta la seconda metà Novecento.
E’ stato presidente del Consiglio dei ministri per sette volte. Senatore a vita fino alla sua morte, è stato otto volte ministro della Difesa, cinque volte agli Esteri, tre volte alle Partecipazioni Statali, due volte alle Finanze e all’Industria, una volta al Tesoro e all’Interno. Tra i governi da lui presieduti ci fu anche quello più breve della storia repubblicana: solo 9 giorni, dalla fiducia alle dimissioni.
Presente nel Parlamento italiano dalla sua formazione, ha vissuto in prima persona alcuni tra i momenti più delicati della Repubblica, come il governo di “solidarietà nazionale” durante il rapimento di Aldo Moro (1978-1979), e il governo della “non-sfiducia” (1976-1977), indicato come possibile esempio anche nelle ultime settimane di politica italiana.
Il 2 maggio 2003 è stato assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa dalla Corte d’Appello di Palermo per i fatti successivi al 1980. Per i fatti precedenti il Tribunale ha dichiarato il non luogo a procedere.
Era stato assolto in primo grado, il 23 ottobre 1999. Nell’ultimo grado di giudizio la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di appello, parlando di “concreta collaborazione” con esponenti di spicco di Cosa Nostra fino alla primavera del 1980, presente nel dispositivo di appello. Il reato “ravvisabile” non era però più perseguibile per sopravvenuta prescrizione e quindi si è dichiarato il “non luogo a procedere” nei confronti di Andreotti.
Per il leader socialista Bettino Craxi Andreotti era “Belzebù”, la volpe che finirà in pellicceria. Ma Andreotti, la pellicceria l’avrà pure sfiorata ma sempre evitata.