Inchiesta P3. Con la mozione di sfiducia a Caliendo potrebbe nascere il terzo polo

Il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo

Il momento della verità è fissato per mercoledì alle 17, quando a Montecitorio i deputati saranno chiamati a esprimersi con un si’ o con un no sulla mozione di sfiducia contro il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, presentata dal Pd e dall’Idv in seguito al suo coinvolgimento nell’inchiesta P3.

Sulla carta, Caliendo non rischia granché: la decisione di astenersi presa dal neonato gruppo finiano in compagnia di Udc, Api e Mpa mette il sottosegretario al riparo da brutte sorprese. Ma apre ugualmente un problema politico grande come una casa, perché a pochi giorni dal divorzio tra Fini e Berlusconi, la pattuglia dei fedelissimi del presidente della Camera volta le spalle alla maggioranza e si ritrova dallo stesso lato delle forze interessate alla costruzione di un terzo polo sganciato dal centrodestra e dal centrosinistra.

La scelta dei finiani arriva dopo una riunione con i gruppi di Pier Ferdinando Casini, Francesco Rutelli e con i deputati dell’Mpa di Raffaele Lombardo. Il blocco astensionista può contare su 85 deputati. Altri potrebbero aggiungersi al momento del voto: quasi sicuramente i due repubblicani e i tre della Svp.

Insomma una pattuglia consistente, che se all’atto pratico darà una mano a Caliendo rendendo di fatto impossibile l’approvazione della mozione di sfiducia, darà un ulteriore scossone alla saldezza della maggioranza. E’ per questo che gli uomini di Berlusconi, fiutato il pericolo, si sono messi subito al lavoro per disinnescare la mina: un pressing totale per convincere i finiani più dubbiosi a dissociarsi dalla scelta dell’astensione e a votare a favore del sottosegretario.

Al centro delle attenzioni è tutta l’ala moderata di Futuro e Libertà (Ronchi, Urso, Consolo, Menia e Moffa) che non vuole arrivare a una irreparabile rottura. E’ tutta una questione di numeri. Pdl e Lega hanno 303 voti: ma se alla fine una fetta dei finiani decidesse di dissociarsi e votare insieme al resto della maggioranza portando il totale a più di 316 voti (la maggioranza assoluta della Camera) Berlusconi potrebbe fregarsi le mani, e ogni voto in più sarebbe un ulteriore boccone amaro per Fini.

Se invece la maggioranza si fermasse prima di quella quota, saranno i finiani a esultare, avendo dimostrato di avere nelle loro mani la sopravvivenza del governo. Per tutta la giornata nel tam tam via sms dei finiani è rimbalzata la voce ( frutto di autosuggestione) secondo cui Berlusconi sarebbe pronto ad aprire la crisi se la maggioranza non dovesse raggiungere quota 316. Resta il fatto che per il cavaliere un blocco di astensione con 33 finiani rappresenterebbe un problema politico che potrebbe sfociare in una rottura vera a breve termine.

In sostanza il presidente del Consiglio, si ragiona in ambienti del Pdl, non sarebbe disposto a farsi rosolare a fuoco lento ma preferirebbe alla fin fine chiudere la partita andando alle elezioni piuttosto che sottoporsi ad uno stillicidio quotidiano. Berlusconi, che potrebbe essere presente in aula domani duramte il voto sulla mozione, ha intanto incontrato il sottosegretario alla giustizia, insieme al guardasigilli Alfano, rinnovandogli la fiducia. Nel frattempo continua l’attacco condotto contro i finani dai fedelissimi del Cavaliere.

Secondo il capogruppo del pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto se la mozione di sfiducia passasse sarebbe ”una resa al giustizialismo” , e la decisione dei finiani ”l’avvio di una manovra politica”. Vista dall’altro lato della scena politica, l’opposizione di sinistra, la scelta di Fini rappresenta una mezza delusione. Democratici e dipietristi fanno a gara nel rimproverare alla pattuglia di Futuro e Liberta’ una scelta di comodo.

Per il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, comunque, il voto di domani avrà conseguenze sdulla vita del governo: ”Chi si astiene – sostiene il segretario democratico – dovrà spiegare il perché, dopo di che è chiaro che ogni voto che la maggioranza perde è una campana che suona per il governo che subirà  inevitabilmente una crisi”. Senza appello la bocciatura che Di Pietro riserva a Fini: ”C’é un momento nella vita istituzionale in cui bisogna assumersi delle responsabilità. Chi non lo fa è un quaquaraquà che evidentemente pensa più alla propria poltrona”.

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