ROMA – Pochi sorrisi, qualche accusa, tante facce lunghe di quelle che si nascondono a stento, solo perché la fine della campagna elettorale impone la pubblica ostentazione di fiducia. Antonio Ingroia e Oscar Giannino, forse i più lontani tra i candidati premier quanto a Italia immaginata e desiderata, sono accomunati da un’etichetta comune e poco gradita. Loro sono i rischia-fuori, i due che potrebbero non ottenere quel 4% minimo che gli varrebbe almeno una poltroncina alla Camera.
Ovviamente le storie e le ragioni sono diverse, diversissime. Ingroia rischia di essere risucchiato dal carisma di Beppe Grillo e dagli appelli al voto utile. Giannino declina causa harakiri da master tarocco made in Usa. Il risultato, però, rischia di essere lo stesso.
Non a caso le campagne elettorali dei rispettivi leader si chiudono con pochissimi sorrisi. A Cagliari Ingroia racconta che ai sondaggi ha imparato a non credere più. Non ci serve un logico matematico per capire che Ingroia i sondaggi li ha visti e non gli sono piaciuti. Altrimenti avrebbe parlato in modo diverso.
Al contrario le parole conclusive del leader di Rivoluzione Civile sono una denuncia di censura e una sorta di scusa preventiva: “Ma perché noi siamo stati vittime di un attacco concentrico, il Pd e le testate a esso vicine ci hanno censurati, e la Rai ha attuato una censura sistematica. Abbiamo fatto esposti, sono stati ignorati”. Gli fa eco un altro “rivoluzionario civile”, l’ex Verde Angelo Bonelli: “Mai come questa volta i media ci hanno impedito di parlare agli italiani, hanno attuato delle censure vere e proprie, e la gestione dell’informazione, soprattutto quella radiotelevisiva, in particolar modo del servizio pubblico, è stata tutta finalizzata al mantenimento del sistema politico attuale. Tutto ciò peserà in termini elettorali, ma io sono molto ottimista”.
Clima ancora più dimesso, ma è inevitabile, alla conclusione di campagna elettorale di Fare. Il simbolo è Giannino, l’ex leader ora semplice militante che neppure sale sul palco. E’ così mesto che neppure il look è vivace come al solito: “Sembra vestito come uno normale, giaccone verde, pantaloni marroni, un foulard al collo, borsalino, toscano in bocca, una borsa di pelle”, scrive Fabrizio Caccia sul Corriere.
Sul palco c’è l’avvocato Silvia Enrico. Il pubblico applaude e invoca “Oscar”, fischia il “traditore” Luigi Zingales. Da qui a sognare il grande risultato ce ne corre. E il problema dell’ex leader, abbandonati i sogni di seggio è casomai un altro: “È stato un massacro e adesso porto la croce, mi hanno asfaltato la vita privata che adesso devo ricostruire, insieme a 32 anni di credibilità”.
