ROMA – Le intercettazioni telefoniche e l’uso che se ne fa tornano al centro del dibattito politico. L’ultima posizione sembra poggiare su due pilastri:
- nessun limite alle intercettazioni come strumento di indagine;
- bavaglio ai giornalisti per quel che pubblicano delle intercettazioni.
Mancano altre due gambe al tavolo:
- l’uso che i magistrati stessi fanno delle intercettazioni, inserendo nei documenti giudiziari ufficiali gli stralci che a loro giudizio confortano le ragioni di un arresto o di una incriminazione e che vengono utilizzati dai giornalisti proprio perché elementi di un documento giudiziario ufficiale e non segreto;
- il confine tra privato e pubblico: certo emblematico della necessità di un limite (ma da porre ai magistrati, non ai giornalisti) è il caso dell’Sms di Anna Falchi che scriveva “ti amo” a Stefano Ricucci. E su questa linea, che dire delle intercettazioni alle olgettine? Ma il rolex al figlio del ministro Maurizio Lupi è un caso privato o politico? Tanto politico, sembra, che ha indotto il ministro a dimettersi.
Le ultime sul caso intercettazioni sono riferite da Francesco Verderami sul Corriere della Sera:
“Matteo Renzi ha preso in mano il delicato dossier sulle intercettazioni ed è convinto che si debba accelerare per arrivare a una riforma del sistema. Il punto non è intervenire sui presupposti che regolano l’uso dello strumento da parte della magistratura, ma porre un argine alla pubblicazione indiscriminata degli atti di un’indagine, specie quelli estranei all’inchiesta: una cosa che non gli va giù, «perché non è roba da Paese civile».
Matteo Renzi si era già pubblicamente espresso sull’argomento e in Consiglio dei ministri era stata approvata una delega ad hoc nel disegno di legge sul processo penale. Il fatto è che il provvedimento è costretto a seguire i tempi del Parlamento e al momento non è arrivato neppure a metà del percorso. […] Come non bastasse, peraltro, dopo l’esame delle Camere servirebbero poi almeno altri sei mesi al governo per applicare la delega sulle intercettazioni…
Di qui l’idea cioè di dare un impulso sulla materia, che incrocia la richiesta a «far presto» del Nuovo centrodestra. Ci sarà un motivo se Alfano l’altra sera a Porta a porta ha battuto più volte sullo stesso tasto, rimarcando che le intercettazioni «vanno messe in pole position» e sostenendo che «sui giornali devono finire solo le cose strettamente pertinenti all’inchiesta».
Per Renzi, per garantire la riservatezza bisogna istituire la figura di un «soggetto responsabile» che abbia il «dovere di vigilare» sugli atti di un’inchiesta e che poi risponda di eventuali violazioni. Il ventaglio di soluzioni tecniche è da esaminare. Il punto è superare lo status quo, perché oggi non esistono filtri, tutto confluisce nel mare delle carte giudiziarie che vengono rese pubbliche, facendo a brandelli i diritti costituzionali delle persone non coinvolte.
E allora «via gli alibi», dice il premier: «Un conto sono le intercettazioni. I magistrati le adoperino, che nessuno le limiterà. Ma la pubblicazione è un’altra cosa». Il gesto politico c’è, bisognerà capire come il governo lo tradurrà in percorso legislativo, quale mezzo userà per accelerare l’iter in Parlamento.
Non c’è dubbio però che le intercettazioni restano il tema più caldo, sebbene nella minoranza del Pd lo stesso Bersani ha chiesto di trovare «subito» una soluzione, «perché con questo sistema si impallina chiunque».
E l’idea di fondo di Renzi — ripetuta più volte davanti alla segreteria del Pd — è che «la magistratura dev’essere messa nelle condizioni di lavorare, ma deve anche rispondere del proprio operato».