Intercettazioni. Parte della nostra storia, tra ruoli distorti, politici corrotti, giornali distratti e sete di giustizia

Antonio Di Pietro, teorico del "carcere se non parli"

Vorrei prendere la storia delle intercettazioni partendo da molto lontano e da un punto che non mi sembra appassioni molto: il diritto del cittadino a un giusto processo. 

Hanno parlato di diritto di cronaca, di diritti della giustizia, di gogna mediatica che infastidisce il potente, ma nessuno si è preoccupato del cittadino che deve essere giudicato, cioè di uno dei temi centrali della democrazia. Da noi regna il totale disinteresse per il cittadino, che poi siamo tutti noi, fuori dai ruoli e dai mestieri. Noi cerchiamo anche di farglielo capire, a quelli che ci comandano, che non ci va bene: sempre meno numerosi andiamo a votare. Anche a chi diamo i nostri voti dovrebbero comunque preoccuparli. Ma loro sono nel tubo e non sentono. 

L’Italia viene da secoli di condizione coloniale, di dominio sabaudo o borbonico, di fascismo e guerra fredda: che spazio c’è stato mai per un povero, semplice cittadino, che fino a pochi decenni fa si chiamava suddito? 

Quando poi la democrazia è arrivata, accompagnata anche da spinte propriamente rivoluzionarie, dopo una lunga, dolorosa e sanguinosa guerra, non c’è stato mai tempo per le finezze. La ricostruzione era una corsa contro il tempo, le è seguita una nuova spinta rivoluzionaria, con centinaia di morti, e poi una imprevista esplosione di benessere ma prima e dopo c’era altro a cui pensare: fino alla fine degli anno ’80 l’Italia è stata terreno di scontro della guerra fredda. L’abbiamo rimosso dalla nostra memoria, ma sono solo trent’anni fa. 

Questo il quadro in cui il sistema giudiziario italiano ha preso una evoluzione sua peculiare. 

Nessuno ha fatto quel che avrebbe dovuto. I politici, sopraffatti dalla esigenza di reperire crescenti risorse per una competizione sempre più sofisticata, ci si sono potuti dedicare full time, perché intanto il gioco dell’alternanza, che è una delle cose più belle della democrazia, era bloccato dalle rigidità del grande gioco della politica mondiale. 

La classe politica, in particolare quella di governo, non è stata capace di istituire quei correttivi di controllo e di moralità che l’avrebbero resa credibile, sul piano etico, davanti ai cittadini. Forse semplicemente non ne sentiva il bisogno, perché pensava alla eternità dello statu quo. 

I giornali erano e sono stretti fra un padronato che agisce con priorità terze rispetto all’editore e le pulsioni di uno schieramento politico da cui nessuno è esente. Prudenza, mancanza di scuola e anche una certa tradizione favorivano l’attesa della fonte ufficiale. Dicessi velina forse sbaglierei, ma certamente la sicurezza e il conforto di un verbale come assicurazione contro interventi padronali e carcere per diffamazione ha avuto un certo peso. 

 

Alla fine, classe politica e giornalisti hanno abdicato al loro ruolo di controllori della vita pubblica: il vuoto è stato riempito dalla magistratura inquirente, alla quale venne attribuito l’attuale ruolo nella conduzione delle indagini, a un certo punto del progresso democratico post bellico, nell’intento di dare maggiori garanzie ai cittadini e sottrarli dall’arbitrio poliziesco. 

Conseguenza non voluta: venne meno un garante super partes, perché la dialettica fra inquisitore e giudce (basta guardare un telefilm per capirlo) si è spostata all’interno della magistratura, senza quindi possibilità di controllo da parte dei cittadini se non attraverso gli organi totalmente autonomi della stessa categoria. 

Così quando i vincoli imposti dalla guerra fredda sono caduti, i partiti che guidarono lo sviluppo, traghettandoci al benessere, si sono letteralmente sciolti, miopi e esausti, sotto i colpi di una azione giudiziaria che ha dato soddisfazione alla aspirazione di giustizia di milioni di italiani. Da essa è venuta la legittimazione politica anche per una sistematica violazione di un principio di giustizia che sembrava acquisito dai tempi di Cesare Beccaria: alla tortura si è sostituito il carcere come strumento per ottenere confessioni e lascia spesso perplessi il fatto che tutti ingoiamo senza la minima reazione l’equazione non parli = resti dentro. 

Purtroppo come i politici non sono stati capaci di posizioni responsabili, da democrazia moderna, in una fase di democrazia bloccata, così i magistrati non hanno saputo usare l’assoluta autonomia che la Costituzione del 1948 ha dato loro per trasformarsi e dare vita a un sistema giudiziario che avesse al centro il cittadino e non il dio diritto. 

Il risultato è che una delle peggiori cose dell’Italia è la lunghezza dei processi, sia civili sia penali, che dipende da molte cose ma certamente anche dai magistrati. I processi in Italia non finiscono mai e alla fine la santa prescrizione chiude tutto. Devi proprio essere un assassino o un criminale ultra recidivo per starci, magari solo un po’ in carcere. 

Nel tempo in cui in America Bernie Madoff è stato scoperto condannato e messo dentro per sempre, da noi si è ancora in attesa del deposito delle prime perizie. 

Questo ha contribuito a dare una legittimazione popolare al sistema della carcerazione preventiva. Partendo dall’assunto che se uno viene arrestato qualcosa deve avere fatto, la gente sa bene che, per quanto quello abbia fatto, difficilmente sconterà una pena. A parte i casi più clamorosi che hanno portato al recente scandaloso indulto. 

Questo provoca nella testa della gente una reazione di indifferenza anche all’ingiustizia: meglio un po’ di giustizia sommaria dell’impunità. 

Intanto i magistrati inquirenti, alle prese con la scarsa produttività del sistema e la scarsità degli organici, hanno trovato nelle intercettazioni il toccasana che può risolvere le indagini: in meno di dieci anni il numero delle intercettazioni in Italia è quadruplicato. 

Il passo successivo viene forse dall’inconscio : dato che l’indagine probabilmente finirà in prescrizione, se ho qualche ragione per arrestarti, lo faccio, basta che dici delle cose compromettenti al telefono. Se confessi, ho risolto, se taci, nell’economia complessiva della macchina della giustizia ho ottimizzato. 

La conclusione è in due vicende parallele, quella di Ottaviano Del Turco e quella di Rod Blagojevich.. Del Turco era governatore dell’Abruzzo, Blagojevich dell’Illinois. Arrestati entrambi, sulla base di intercettazioni, nel 2008, Del Turco a luglio, Blagojevich a novembre, Del Turco per una vicenda legata alla sanità regionale, Blagojevich perché voleva vendere per mezzo milione di dollari il posto di senatore del suo Stato, occupato da Barack Obama prima di diventare presidente degli Usa. 

Blagojevich è stato in prigione poche ore, il tempo che qualcuno pagasse la cauzione. Sarà processato il 3 giugno. Le prove le avevano già tutte. 

Del Turco è rimasto 28 giorni in carcere, due mesi ai domiciliari, non ha parlato e si dice vittima. il 19 febbraio è stato richiesto il suo processo. Quasi un record, per i tempi italiani, ma quando ci sarà il processo, ancora non si sa. 

Vedere anche:  Il ddl Alfano, Berlusconi e Mussolini

Published by
admin