Governo, stretta su Internet? Già ora in Italia si naviga “schedati”

L'ex ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu

Vuoi connetterti da un internet point? Documenti, prego. Vuoi connetterti ad una rete wi-fi? Documenti, prego. Vuoi connetterti da casa mia? Documenti, prego. Forse non tutti lo sanno, ma in Italia per avere accesso alla Rete è necessario essere “schedati”. In nome della lotta al terrorismo.

Dopo l’aggressione subita da Silvio Berlusconi, per mano di Massimo Tartaglia, il governo ha promesso una “stretta” alle maglie del Web, indicato come spazio adatto per inasprire gli animi e sobillare le folle: il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha annunciato che saranno applicate «misure urgenti» per bloccare “l’istigazione alla politica violenta”.

Le proposte più rilevanti riguardano l’istituzione di un gruppo di lavoro permanente che riunisca ministeri competenti, gestori di rete e fornitori di servizi, e un codice di autodisciplina come quello adottato in campo pubblicitario. Mezzi che aiuteranno la magistratura a «decidere se sul Web si compie un reato e per rimuovere gli effetti del reato». Dunque, sembra al momento scongiurato il ricorso a “reati speciali”.

Per quanto riguarda Internet, però, in Italia esistono anche altre norme pensata per tutelare la sicurezza del Paese. E c’è una norma, in particolare, che ha suscitato più di una perplessità, visto che rischia di ledere la privacy degli internauti.

Nel 2005 il governo approvò il decreto Pisanu, che prendeva il nome dall’allora ministro dell’Interno. Il decreto prevedeva (e prevede tuttora) una serie di restrizioni per gli internauti e per i fornitori del servizio Internet: i gestori che offrono la possibilità di connettersi da un locale pubblico devono infatti chiedere una licenza alla Questura che ha competenza sul proprio territorio; una volta ottenuto il permesso, devono chiedere ai propri clienti un documento di identità, segnarsi i dati e fare una fotocopia del documento; poi devono conservare il “log” sul computer, ovvero i dati relativi alla navigazione dei clienti; infine devono conservare tutti questi dati in modo da inviarli, all’occorrenza, in Questura. E questo non vale solo per gli esercizi pubblici, ma anche per privati cittadini che consentano l’accesso a “terzi” dalla propria abitazione.

Tutte iniziative approntate per combattere le “cellule” di Al Qaeda presenti sul nostro territorio. Erano passate poche settimane dagli attentati di Londra, ed era opinione diffusa che i fondamentalisti islamici si servissero del mezzo Internet per organizzarsi.

In «nessun Paese occidentale, neppure dove sono più rigorose le misure contro il terrorismo, è prevista una normativa tanto restringente in materia di identificazione di chi accede a Internet da postazioni pubbliche». A parlare così è il deputato del Pdl Roberto Cassinelli, tra i promotori de “La Carta dei Cento per il libero wi-fi”. La “Carta dei Cento”, presentata in Parlamento, contiene la richiesta di non prolungare ulteriormente i termini del provvedimento: il decreto Pisanu è stato rinnovato, dopo due proroghe, fino al 31 dicembre 2009.

Il vero paradosso, però, è che lo stesso Pisanu ritenga eccessivo il decreto: «Le esigenze di sicurezza sono nel frattempo mutate – sottolinea l’ex ministro – e l’accesso ad Internet come agli altri benefici dello sviluppo tecnologico deve essere facilitato».

Il risultato più tangibile di queste limitazioni è il rallentamento che ha subito in Italia l’espansione delle reti wi-fi, cioè quelle che dovrebbero rappresentare il libero accesso a Internet: in tutto il Paese i punti d’accesso alle reti gratuite sono 4.806, un quinto rispetto alla Francia. Se nei parchi e nelle piazze delle città transalpine qualsiasi persona dotata di computer portatile o di palmare può accedere alle “meraviglie” del Web, in Italia uno ci pensa due volte prima di far finire il suo nome negli schedari della Polizia.

Una situazione, questa, esemplificativa degli ostacoli che incontra da noi la navigazione in Internet : pochi mesi fa il Parlamento ha bocciato l’emendamento D’Alia dal simbolico nome “Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo Internet”. Se la proposta fosse passata, portali come Facebook e Youtube avrebbero seriamente rischiato di chiudere.

Intanto il 17 dicembre Paolo Romani, viceministro con delega alle telecomunicazioni, presenterà in Consiglio dei Ministri un altro provvedimento che quasi certamente farà storcere il naso agli utenti del Web: il governo vuole infatti regolamentare i servizi diffusi in «diretta continua su Internet». In parole povere, qualunque sito vorrà trasmettere immagini di manifestazioni e qualsiasi altro tipo di eventi, dovrà ricevere un’autorizzazione e iscriversi ad un albo: una dura “botta” per tutti i portali che vivono di “streaming”.

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Alberto Francavilla