I magistrati chiedono al Parlamento una legge che precluda ai giudici di candidarsi alle elezioni regionali nella stessa zona dove hanno esercitato la giurisdizione, così come avviene per le toghe che si presentano alle elezioni politiche nazionali. Inoltre intendono rivedere il loro codice deontologico per affrontare la “questione morale”dopo il recente coinvolgimento di magistrati in procedimenti penali come quello dell’inchiesta sul G8.
Le risoluzioni sono state approvate oggi 6 marzo dal “Parlamentino” dell’Associazione Nazionale Magistrati che organizzerà un gruppo di studio per mettere in campo i nuovi paletti. In particolare, l’Anm chiede al Parlamento «un intervento legislativo che adegui la legge elettorale per le amministrative a quella per il Parlamento nazionale introducendo un divieto per i magistrati di partecipare alle elezioni, o assumere incarichi di governo nelle amministrazioni locali, nei luoghi dove hanno precedentemente esercitato la funzione giudiziaria».
Secondo l’Anm «sarebbe un errore rinunciare alla presenza di magistrati nelle istituzioni rappresentative» ma allo stesso tempo è «necessario fissare regole rigorose per evitare commistioni tra la funzione giudiziaria e l’impegno politico». Per questo sarà istituita una commissione di studio «per individuare modifiche al codice deontologico e allo statuto dell’Anm che fissino “paletti” sui temi della questione morale e del rapporto tra magistratura e politica».
Secondo il presidente dell’Anm, Luca Palamara, bisogna «evitare situazioni opache e bisogna passare dalle parole ai fatti: non si può arretrare di un millimetro, servono magistrati all’altezza, trasparenza e credibilità del lavoro che svolgono». La “riforma” riguarda tre punti: il diritto all’elettorato passivo, l’opportunità di candidarsi nel territorio in cui si è esercitata la giurisdizione, il ritorno in magistratura delle toghe che hanno scelto di tentare la strada politica.
Per il segretario dell’Anm, Giuseppe Cascini «è giusto che i magistrati si possano candidare ma non è utile, ad esempio, che vadano a dirigere le Asl o fare gli assessori alla Sanità». Con riferimento alla vicenda dell’ex procuratore aggiunto di Roma, Achille Toro, dimessosi dalla magistratura dopo il coinvolgimento nell’indagine sugli appalti del G8, Cascini ha aggiunto che si è trattato «di un episodio molto brutto ma, a differenza di quanto ha fatto la politica, noi non abbiamo ceduto a riflessi corporativi o di protezione».
Anche Antonietta Fiorillo di Magistratura Indipendente si è soffermata sulla “vicenda Toro”: «È un fatto doloroso ma si tratta di un episodio isolato – ha detto -, la magistratura è un corpo sano che riesce a reagire dall’interno». Sulle toghe in politica, Fiorillo ha messo in guardia «dal rischio di una doppia strumentalizzazione nel senso che bisogna evitare che un magistrato lavori ad inchieste per acquistare notorietà o che sia eletto per via delle inchieste che ha condotto».
Sulla questione morale è intervenuto anche Marcello Matera di Unicost rilevando che il problema «viene fuori ciclicamente soprattutto nei momenti di crisi delle istituzioni democratiche, quando si perdono i punti di riferimento». Ad avviso di Matera «il magistrato che scende in politica non può poi tornare a rivestire la toga: sono due mondi non sovrapponibili».
E Nello Rossi di Magistratura Democratica chiede “paletti”: «Chi non li rispetta non può rivestire incarichi nell’Anm».Per Rossi «il bipolarismo ha cambiato il rapporto tra magistratura e politica lasciando meno spazi di autonomia ai magistrati che decidono di candidarsi o di mettersi, fuori ruolo, al servizio delle istituzioni».
Stefano Schirò di Magistratura Indipendente – la componente più “conservatrice” dell’Anm – ha espresso parere positivo sull’istituzione della commissione di studio «purchè lavori in tempi accettabili e sia snella e composta solo da componenti del “Parlamentino”».
