Dure pure e perché no, anche un po’ antiberlusconiane. Sono le donne della Lega, amministratrici di Comuni piccoli e grandi in tutto il nord Italia. Un fenomeno politico nuovo e in ascesa in un partito che, quando irruppe sulla scena italiana, propugnava il mito del “ce l’ho duro”, non proprio un paradigma di accoglienza per il gentil sesso.
Quindici anni dopo, però, è cambiato il Paese ed è cambiata la Lega. E sulle camicie verdi al femminili sono stati scritti anche libri, come «Leghiste. Pioniere della nuova politica», saggio della giornalista de “Il Foglio” Cristina Giudici.
La Giudici parla delle donne in verde che ha conosciuto e per sua stessa ammissione sorvola su quelle che non apprezza. Una, in particolare, ha catturato l’attenzione della giornalista: Francesca Zaccariotto, sindaco di San Donà di Piave e presidente della Provincia di Venezia. La Giudici la racconta come una donna dall’apparenza dolce ma all’occorrenza dura, una con alle spalle “una faticosa gavetta durata 15 anni, passata a combattere contro uomini del suo partito che l’hanno ostacolata con modi e metodi così violenti che avrebbero scoraggiato qualsiasi donna”. La Zaccariotto le spiega come un compagno di partito, Gianfranco Marcon, «da padrino politico è diventato suo acerrimo nemico». Perché? Storie di nomine e di poltrone. La leghista vorrebbe conoscere uno per uno tutti quelli che destina a qualche incarico. Impresa titanica, forse impossibile anche perché nella politica, le scelte non sempre si incanalano sui binari del merito.
Ci sono poi tante leghiste che si dividono tra giunta e famiglia e magari amano i fiori come una certa Francesca che «nel suo comune li ha messi ovunque, di fronte al municipio ha addirittura una siepe a forma di Topolino e Paperino».
Non mancano i racconti da favola, non hollywodiana ma padana, come quello di Emanuela Munerato di Lendinara, in provincia di Rovigo. Faceva l’operaia, ha preso i voti in fabbrica ed è finita a Roma, destinazione Camera dei Deputati.
Tra le più agguerrite, infine, non si può non menzionare Maria Rita Busetti, sindaco di Thiene in provincia di Vicenza. Una che orgogliosamente ricorda che nel suo paese “il Pdl è all’opposizione” perchè a lei i berlusconiani non piacciono. Perché? Spiega il sindaco: “Hanno confuso l’ideale liberale con il libertinaggio”. La Busetti dalla tentazione del libertinaggio non è neppure sfiorata: ha tirato giù «un documento comunale che vieta qualsiasi cosa, anche sputare per terra, stendere i panni o scuotere i tappeti: più regole impongo più sono contenti ».
Infine Milena Cecchetto, sindaco di Montecchio Maggiore una di quelle che cavalca “l’ossessione degli immigrati”, scrive la Giudici. Ed ha anche pagato in prima persona visto che dopo aver tolto le panchine nei parchi ed è stata aggredita da un tunisino. Incidenti di percorso nell’irresistibile ascesa delle signore in verde.