E con questo siamo ad un altro articolo del “codice etnico” ormai quasi definito. Ordinanze varie di vari sindaci hanno decretato negli ultimi mesi e settimane che una residenza può essere concessa solo dopo verifica di «buona salute», onde evitare che «apportino malattie». Che un domicilio può essere concesso previa ispezione e verifica che non «deturpino arredi e muratura», è noto infatti che sporcano. Che sotto Natale si organizza una visita alle loro case per verificare non siano in possesso di documenti scaduti, in quel caso li si allontana. Questo per gli immigrati in regola. Per gli altri, se si trova un loro figlio iscritto ad una scuola italiana, lo si allontana. E come queste, tante altre ordinanze. Non poteva quindi mancare quella che dosa l’assistenza ai lavoratori sulla base dell’etnia. Non si capisce poi la sorpresa se qualcuno grida negli stadi che «un negro non può essere italiano». Non è uno slogan da stadio, è ordinanza di sindaco e emendamento di parlamentare.
Emendamento subito bocciato dal ministro preposto, ovvero il titolare del Welfare Maurizio Sacconi, ricordando al compagno di maggioranza Fugatti che la cassa integrazione come tutti «gli ammortizzatori sociali ordinari» è un «diritto soggettivo dei lavoratori, sostenuto da contribuzioni degli stessi lavoratori e degli imprenditori».
E l’extracomunitario che lavora e paga i contributi (cosa che tra l’altro motiva il suo permesso di soggiorno) non può vedersi tolto un diritto maturato solo perché la sua nazionalità è quella “sbagliata”.