La Lega riapre il parlamento padano, ma che si fa coi ministeri a Monza?

I vertici della Lega cantano Va' Pensiero, l'inno della Padania (Lapresse)

MILANO – La Lega Nord riapre il parlamento padano e ma non vuole mollare i ministeri a Monza. Il partito di Umberto Bossi ha preso quasi come una liberazione l’uscita dal governo e non vede l’ora di tuffarsi nella lotta, nell’opposizione dura al nuovo premier Mario Monti. Monti che Bossi neanche incontra, preferendo gli impegni di partito alle consultazioni col presidente del Consiglio in pectore. Monti al quale Bossi comunica per telefono “l’indisponibilità a votare la fiducia”. E allora Aventino, ma alla maniera “padana”: Aventino oltre Po, 600 km più a Nord.

La prima mossa decisa dai vertici del partito, infatti, è la riapertura del parlamento padano, che riporta l’orologio della politica leghista indietro di 14 anni. Ai tempi in cui la parola d’ordine era “secessione” e non il più conciliante “federalismo”. Ai tempi della Lega sola contro tutti: contro Roma, contro l’Ulivo ma anche contro Berlusconi, che i peggiori attacchi in vita sua li ha subiti proprio dalle prime pagine de “La Padania”. Ai tempi in cui il futuro ministro dell’Interno Roberto Maroni morsicava le caviglie di un poliziotto impedendo (al grido di “libertà, libertà!”) alle forze dell’ordine di entrare nella sede di Via Bellerio. Ai tempi di Mario Borghezio e Francesco Speroni ministri della Padania e del giovane Matteo Salvini a capo della lista dei “comunisti padani”, in un parlamento – eletto votando nei gazebo – che dava pittoresca rappresentazione a tutte le tendenze politiche: “Destra padana”, “Forza Padania”, “Padania liberista e libertaria”, “Cattolici Padani”.

Si riparte da Vicenza e da una sede più grande di villa Bonin Maestrello, ultima dimora del Parlamento padano dopo il trasloco dalla prima sede, Villa Riva Berni nel Mantovano. Si riparte però con una assemblea di non eletti, di deputati, senatori e amministratori locali, visto che non c’è né il tempo né la voglia di organizzare le elezioni. Poi maxi manifestazione a Milano: in piazza Duomo il 15 gennaio.

Intanto Roberto Calderoli diffida il nuovo governo dalla soppressione dei “ministeri” a Monza. Sono in realtà uffici e distaccamenti, non sedi ministeriali vere e proprie. Inaugurati in pompa magna il 23 luglio, non sono, tra l’altro, mai entrati pienamente in funzione. Anzi il 19 ottobre una sentenza del tribunale di Roma ha imposto di chiuderli. Ma vengono nobilitati al rango di possibile casus belli, con i leghisti che minacciano “secessione”, “autodeterminazione” se si tocca Monza.

La linea dura è una scelta che sembra risvegliare gli entusiasmi delle base e dell’elettorato, delusi dal naufragio del sogno federalismo nell’immobilismo del governo Berlusconi. Il telefono di Radio Padania (diretta da Salvini) ribolle di chiamate degli ascoltatori che gridano al “colpo di Stato”, contro il “governo dei poteri forti” guidato da Monti, l’uomo del Gruppo Bildeberg, della Commissione trilaterale, di Goldman Sachs…

Ma nella Lega c’è anche chi alla lotta preferisce il governo. C’è chi vuole affiancare al parlamento padano un “governo sole”, il “governo ombra” che i leghisti già sperimentarono nel 1992. E c’è chi come Giancarlo Gentilini, l’ex sindaco-sceriffo di Treviso, arriva a dire che “la Lega sbaglia: di fronte a una simile crisi economica, doveva appoggiare il governo Monti” anche per “cambiare la legge elettorale per andare al voto nel 2013 con liste fatte non di paracadutati dalle segreterie partitiche ma da politici scelti e votati dal popolo”.

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