ROMA – Lavori straordinari a Montecitorio per la conversione del decreto legge sul femminicidio. La presidente della Camera Laura Boldrini aveva già annunciato un’apertura straordinaria il 20 e 21 del mese (la pausa estiva dura fino al 6 settembre) proprio per dare l’avvio al disegno di legge di conversione del decreto legge appena approvato.
Polemica la Lega. “Ancora una volta Laura Boldrini dimostra non solo di essere totalmente incapace di gestire l’Aula di Montecitorio ma anche di non conoscere come funziona la Camera stessa”. Lo afferma in una dichiarazione Gianluca Pini, vice capogruppo della Lega Nord.
”Noi siamo pronti – aggiunge Pini – anche domani a lavorare, ma è la conferenza dei capigruppo che decide il calendario. Pertanto se si vuole ripartire subito a lavorare la capigruppo ha già deciso: il primo punto all’ordine del giorno è la cancellazione del finanziamento pubblico ai partiti. Noi siamo pronti”.
Intanto sabato Il Messaggero pubblica tre commenti sulla legge contro il femminicidio appena approvata. All’indomani dell’approvazione del decreto legge non sono pochi gli avvocati matrimonialisti e i giuristi che si interrogano sulle novità introdotte, dividendosi in pro e contro.
Scrive Silvia Barocci sul Messaggero
“L’intervento più apprezzato è indicato nella corsia preferenziale e nella costante informazione alle parti offese sullo svolgimento dei procedimenti penali, nonché nell’intervento sulle aggravanti. Maggiori dubbi,invece, vengono sollevati sull’ irrevocabilità della querela da parte della vittima di stalking e sull’anonimato garantito a chi segnali un atto di violenza alle forze di polizia. A dare voce alle luci e alle ombre di questo provvedimento sono il presidente dell’Associazione avvocati matrimonialisti, Gian Ettore Gassani, e l’avvocato Antonella Tomassini, del foro di Roma”.
“Gassani è il più critico, tanto da arrivare ad auspicare che il presidente Napolitano ‘non firmi il decreto’ o che vi sia una radicale modifica del testo in sede parlamentare. Specialmente su tre punti: l’anonimato della denuncia (‘è vietata dall’art.333 del codice di procedura penale’); l’intervento delle forze dell’ordine per l’allontanamento urgente del coniuge o familiare ritenuto violento (‘i maltrattamenti devono essere verificati dal magistrato’); infine l’irrevocabilità della querela delle persone vittime di atti persecutori”.
“Di tutt’altro avviso l’avvocatessa Tomassini: ‘Questa legge ha molti aspetti positivi, come l’arresto in flagranza in caso di stalking. Un segnale andava assolutamente dato. Per mia esperienza gli interventi delle forze dell’ordine spesso sono tardivi. Nel frattempo, a farne le spese sono le donne’. In guerra e in amore tutto è permesso, dice il proverbio. Ma quando per amore si finisce in guerra le armi usate sono devastanti, soprattutto se di mezzo ci sono figli minori. I matrimonialisti riferiscono di false o strumentali denunce di stalking o violenza presentate da uno dei due coniugi per far sì che, in sede di separazione, il giudice rifiuti l’affido condiviso dei figli. ‘E’ vero – ammette l’avvocato Tomassini – ho assistito donne che hanno accusato falsamente i propri mariti. Personalmente, però, mi sento più di stare dalla parte della donna che rischia di essere uccisa dal marito anziché del marito che finisce ingiustamente in galera e che poi potrà essere tirato fuori da un bravo avvocato’. Appunto, un bravo avvocato. Non tutti possono permetterselo”.
Sara Menafra sempre del Messaggero, ha sentito il parere molto critico dell’avvocato Annamaria Bernardini de Pace, esperta di diritto di famiglia e da sempre in prima fila quando si parla dei diritti delle donne. Secondo de Pace, la legge appena approvata
“Rischia di essere solo un grande spot. È un progetto di stampo anglosassone, di quelli che si vedono nei telefilm americani. Solo che lì intervengono in tempi rapidissimi, il giudizio è praticamente immediato e allora può avere un senso. In Italia, questa norma rischia di essere un gigantesco spot per far vedere che si fa ma in realtà non si fa”‘.
“‘La mia tesi fondamentale è che possono scrivere tutte le leggi del mondo ma finché le forze dell’ordine sono inadeguate e la giustizia subisce i tempi elefantiaci che ha avuto finora, è impossibile che si risolvano i problemi. Sui temi come la violenza sulle donne si dovrebbe fare una campagna formativa e informativa attraverso scuole e media,mentre non c’è educazione né formazione. Se si chiama il numero nazionale antiviolenza o non rispondono o ti passano a centri locali che possono fare ben poco’. La possibilità per le forze dell’ordine di intervenire con l’obbligo di allontanamento da casa anche senza la presenza di una denuncia le pare efficace? ‘Mi spieghi come può essere accertata la flagranza da un agente chiamato dopo che la violenza è già avvenuta. O arriva quando l’uomo ancora sta pestando la donna, oppure tutto finisce. Anche perché c’è sempre il rischio dell’arbitrarietà. Cosa ne sappiamo che non ci siano donne che simulano solo per cacciare il marito?’ E l’impossibilità di ritirare la denuncia da parte di una vittima di stalking ? ‘Molte volte succede che una donna subisca nuove persecuzioni per ritirare la denuncia perché a metterla sotto pressione non è solo il carnefice ma anche la sua famiglia o i sodali. L’impossibilità di ritirarla potrebbe essere un fatto positivo, ma bisogna capire se a quel punto le donne non saranno terrorizzate dalla minaccia di non poter più tornare indietro. Già oggi capita che forze dell’ordine e magistrati dicano alle donne che si presentano al posto di polizia, ‘guardi signora che se lei adesso fa la denuncia poi non può più tornare indietro” e loro se ne vanno. E capita anche che una denuncia resti in qualche modo “congelata” in attesa di nuovi sviluppi”‘.
“Altro punto controverso è la possibilità per terzi, anche anonimi, di presentare denuncia. ‘Ecco questa la considero davvero una norma illiberale. Chi vuole fare una denuncia se ne deve assumere la responsabilità. Ribadisco: ci vorrebbero meno difficoltà burocratiche, più responsabilità nei medici, maggiore preparazione psicologica ma soprattutto ci vorrebbero dei giudici rapidi efficienti. Nell’affrontare queste vicende c’è spesso uno scarso senso di responsabilità da parte di chi dovrebbe rappresentare lo stato e invece agisce in modo superficiale o senza gli adeguatimezzi’.
Un terzo articolo apparso sempre sul Messaggero è firmato da Paolo Graldi e si intitola: “Femminicidio tutti i rischi di una norma inquisitoria”. Scrive Graldi:
” Certo, il tema è rovente, suscita inquietudine e certi fatti di cronaca nera perfino raccapriccio. La dimensione del fenomeno allarma, anche per effetto del moltiplicarsi dei casi portati alla ribalta. Violenza contro le donne: fidanzate, mogli, amanti. Uomini che picchiano, malmenano, seviziano, uccidono. Lo chiamano, tutto questo, ‘femminicidio’, un neologismo che da solo sembra un corpo di reato, che è volgare nella sua formulazione tranciante e che, va detto, diviene una deformante fattispecie di tante, diverse, complesse e tormentate vicende di amore e odio. Con una standing ovation orizzontale, applausi da destra e da sinistra, il governo Letta-Alfano (ma che c’entra il Viminale? Ah sì, c’entra, come vedremo) ha racchiuso in un decreto legge, quindi applicabile da subito, un pacchetto di dodici norme che si riassumono in un secco giro di vite esteso a tutta la materia”.
“Un ventaglio di provvedimenti che si possono raffigurare come un moto di accelerazione giudiziaria di tutti i casi di violenza e di stalking. Non che la legge mancasse. Era del 2009 poi seguita dalla firma del trattato di Istanbul e dunque, pur in mancanza di aggiornamenti e limature forniti della esperienza sul campo, l’Italia era al passo con gli altri Paesi occidentali. Ora si è voluto andare oltre, con qualche spettacolarizzazione di troppo, come se su un tappeto di dolore e anche di sangue diventasse fin troppo facile raccogliere applausi. Cisono, al di là diun giudizio nel segno del ‘farebene’, complessivamente meritato, aspetti che davvero lasciano perplessi e aprono questioni di legittimità profonde e per certi versi inquietanti.Chiunque, per esempio, può chiamare la polizia e, sicuro che verrà protetto il suo anonimato, sparare una denuncia contro un marito, magari dell’appartamento accanto,che sta litigando con lamoglie.Un diverbio dove volano i piatti insieme con le parole grosse. Si prende il telefono, si chiama il commissariato ed ecco arrivare la Volante con il potere di far sloggiare immantinente l’uomo giudicato pericoloso: fuori di casa per quanto tempo la legge non lo stabilisce, la legge dice solo che la polizia avverte il pubblico ministero il quale avverte il giudice per le indagini preliminari”.
“Quel cittadino non saprà mai chi lo ha denunciato, in sede di battimentale pesterà l’acqua nel mortaio delle prove e dei sospetti ma senza un confronto diretto, accusa e difesa sullo stesso piano. Si tratta qui di un problem adi diritti e garanzie fondamentali che vanno riconosciuti a tutti,poiché può sempre accadere che a una denuncia non corrisponda la verità dei fatti.E dunque occorre lasciare al denunciato la possibilità di difendersi.E qui, senza esagerare, la mente s’allarga ai mille possibili casi in cui tra vendette trasversali (pure gli amanti sono interessati ad annientare per via poliziesca i mariti delle amanti) e mille altri tipi di nefandezze si montano con una dimensione totalmente inquisitoria storie dall’incerto esito”.
“Sa di spioni d’oltrecortina, di quei capi caseggiato che monitoravano la fede e la fedeltà alla falce e artello dei coinquilini e poi chiamavano la polizia politica per il da farsi.Questa parte della legge, quando il decreto approderà in parlamento, andrà riletta con meno riflettori accesi e una ricerca più pacata e placata del consenso a buon mercato. Altro punto discutibile: la irrevocabilità della querela da parte della donna. Gli specialisti già intravedono il rischio che il non ritorno di un gesto che spesso è dettato da circostanze pressanti si traduca poi,nei fatti, in una rinuncia tout court a farsi avanti,coraggiosamente,per raccontare come stanno davvero le cose in famiglia. Rendere irreversibile il gesto della querela, insomma, rischia di indebolire l’atto in sé, sottraendolo alla possibilità che dopo la denuncia qualcosa tra i coniugi, gli amanti o i fidanzati possa cambiare in meglio.E, nei fatti,ciò si traduce in una remora a compiere perfino il primo passo. Che, la cronaca lo dimostra ogni giorno, è tanto difficile in sé”.
“Vago è il decreto anche sul punto che tanto consenso sembra avere riscosso: fuori di casa, subito, chi è violento. Sì,ma per quanto tempo? Per sempre? Per un poco?Dicono i matrimonialisti, e magari tirano l’acqua al loro mulino, che il 65% dei reati intrafamiliari sono falsi o quasi. Ripicche, rivalse, rancori compressi, gelosie,c’è di tutto e non sempre la verità viene a galla limpida e trasparente.Ma c’è forse una valutazione di fondo: non è alla polizia, alla polizia com’è attrezzata oggi, senza nulla togliere al magnifico lavoro che gli assistenti svolgono, che si deve affidare la decisione prima e primaria. Era auspicabile che si prevedesse uno sforzo di aggiornamento, di specializzazione, di approfondimento da parte delle forze dell’ordine e della stessa magistratura piuttosto che tenere occhi e orecchie all’emotività suscitata dal clamore di alcune storie di cronaca nera dove però la violenza appare inarrestabile, là dove la violenza, l’assassinio del partner e anche dei figli, è vissuta come la soluzione unica e finale di vicende sentimentali o matrimoniali naufragate in un delirio di annientamento”.
“Occorrerà grande equilibrio nell’applicare il decreto contro la violenza sulle donne, in attesa che la materia passi di competenza del Parlamento per divenire legge definitiva. In quella sede sarà possibile “aggiustare” le storture che offrono nessun vantaggio e contengono molti rischi. A quella violenza che già subiscono le donne non ne va aggiunta alcuna altra.È in un cambio culturale di prospettiva che si sfugge alla tentazione di usare lo Stato di polizia per governare uno stato di grave crisi degli affetti”.
Critiche alla legge vengono anche da “sinistra”. Nadia Somma, sul Fatto Quotidiano elenca in un articolo tutti i punti deboli del decreto sul femminicidio:
“Il governo Letta ha varato il decreto legge contro il femminicidio, contenuto purtroppo in una serie di norme sulla sicurezza. E’ stato presentato con toni entusiastici come strumento di tutela delle donne che il decreto pensa come “soggetti deboli” e bisognosi di tutela”.
“Certo alcune norme contenute nel decreto sono interessanti come la previsione dell’aggravante nei casi di violenze commesse alla presenza dei minori che ci auguriamo porti a tutelare maggiormente i bambini nei casi di violenza assistita. L’obbligo di arresto e l’allontanamento dell’autore di maltrattamenti in casi di flagranza di reato potrebbe essere un altro buon strumento, anche se resta da capire cosa accadrà, una volta che l’autore di violenze sarà scarcerato. Se oltre a bloccare l’autore di violenze non si aiutano le donne con percorsi mirati a sganciarsi dalla relazione allontanandole dal pericolo, tutelando i figli, rafforzando le loro scelte offrendo sostegno e percorsi di autonomia, anche economica, che efficacia avranno gli arresti e gli ammonimenti? Si pensa di risolvere tutto con il carcere?”
“In Italia le strutture di accoglienza che mettono le donne, al centro delle relazioni di aiuto, sono poche. Complessivamente ci sono 500 posti letto invece dei 5700 previsti dalle direttive europee e i centri antiviolenza continuano ad essere scarsamente finanziati e molti sono sempre a rischio di chiusura. Non solo. Spesso sono presi di mira da atti intimidatori, come nel caso del centro antiviolenza di Firenze “Artemisia” dato alle fiamme il 20 maggio scorso”.
“Sono critiche invece le norme che prevedono procedure d’ufficio e l’irrevocabilità della querela: un insieme di interventi che passano sopra la testa delle donne. Il legislatore pare non aver recepito la differenza tra situazioni dove la vittima ha già interrotto la relazione e sta subendo stalking e situazioni dove invece continua a convivere con il maltrattante. L’ammonimento del questore anche su segnalazione di terze parti desta persino preoccupazione. Il momento dello svelamento della violenza è delicato e pericoloso e se l’autore del maltrattamento torna a casa con la vittima esiste un alto rischio di ritorsioni o intimidazioni e minacce. Un rischio che potrebbe essere nutrito dal dubbio che la compagna abbia parlato confidandosi con qualcuno”.
“Quanto alla irrevocabilità della querela è fondamentale il rafforzamento della determinazione della donna per interrompere situazioni di violenza familiare. Come si può prescindere dalla volontà della donna? E nel caso che decida di non aderire agli interventi del legislatore che sono mirati solo a ottenere la condanna penale dell’autore del maltrattamento, e non la cessazione dei comportamenti violenti, sarà giudicata collusiva, non collaborativa con la giustizia, reticente?”
“I nostri governi continuano a considerare la violenza contro le donne una questione di ordine pubblico o causa di “allarme sociale” invece che un problema culturale. E in Italia non abbiamo ancora un sistema di interventi organici contro la violenza di genere. Le richieste le aveva stilate Di.Re lo scorso otto marzo, e l’unica accolta è stata la ratifica della Convenzione di Istanbul. Altre richieste erano state avanzate da Di.RE insieme alla Convenzione No More e riguardavano interventi organici tra soggetti istituzionali e centri antiviolenza, lavoro di rete, sostegno alle vittime, interventi di sensibilizzazione nelle scuole e università”.
“Ma sono state del tutto ignorate come del resto la richiesta da parte dell’associazionismo e del movimento delle donne, di nominare un’altra ministro per le Pari opportunità, dopo le dimissioni di Josefa Idem e l’assunzione delle sole deleghe da parte di Maria Cecilia Guerra, già titolare del dicastero del Lavoro”.
“Un altro dei problemi che il decreto non risolverà è la inadeguata formazione e la mancanza di personale dedicato per i casi di violenza familiare (forze dell’ordine e tribunali) che non permette la capacità di distinguere tra situazioni di conflitto di coppia e di violenza. Manuela Ulivi, avvocata della Casa delle Donne di Milano, ha denunciato recentemente una altissima percentuale di archiviazioni per le denunce di violenze nei tribunali della Lombardia: 1000 su 1500 in un anno e l’invio di situazioni di violenza alla mediazione familiare con conseguente vittimizzazione secondaria della donna che aveva subito o denunciato violenze”.
“Il decreto legge contro il femminicido interviene solo sul piano repressivo un piano di intervento talvolta necessario per bloccare gli autori di violenze ma insufficiente per affrontare il fenomeno in tutta la sua complessità. Infine, come segnala Mario De Maglie, dispiace non trovare alcun riferimento riguardo alla presa in carico degli uomini autori di comportamenti violenti, i cosiddetti ‘maltrattanti'”.