La legge sul legittimo impedimento non crea una ”immunità” e, soprattutto, quando l’impedimento è ”coessenziale all’espletamento di un dovere istituzionale concomitante” di premier e ministri ”il giudice non può fare apprezzamenti di merito e ha il dovere di rinviare la causa programmando un calendario diverso”.
Sono queste le ragioni a difesa dello ‘scudo’ che tiene lontano il premier Berlusconi dalle aule giudiziarie portate in udienza pubblica alla Corte Costituzionale dall’avvocato dello Stato Michele Dipace, intervenuto per conto di Palazzo Chigi.
Secondo Dipace, dunque, il giudice ”non può sindacare se si faccia un Consiglio dei Ministri proprio in quel giorno” perché se ciò avvenisse si darebbe al giudice penale il potere di ”valutare le ragioni politiche sottese così invadendo la sfera dell’attività governativa”.
Nella legge 51 del 2010, inoltre, non vi è alcun ”automatismo e presunzione assoluta di impedimento”: il giudice – secondo Dipace – ha infatti ”sempre la possibilità di verificare l’autenticità della provenienza del documento” emesso dalla Presidenza del Consiglio e ”la veridicità dei fatti attestati come impedimento”.
Una volta superato questo scoglio di verifica relativa all’autenticità il giudice ha il dovere di rinviare l’udienza e di ”programmare il calendario secondo le esigenze processuali” contemperando la ”speditezza del processo con il diritto della difesa” secondo ”un principio di leale collaborazione tra i poteri dello stato” già evocato a suo tempo dalla stessa Corte Costituzionale in merito al caso Previti.
Il fatto che il rinvio dell’udienza sia previsto per non oltre sei mesi dimostra, conclude Dipace, che si tratta ”di un tempo del tutto ragionevole” e che non si tratta della tutela di una carica, ma solo del diritto di difesa.