Promulgata dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano il 7 aprile del 2010, la legge 51 prevede, in due articoli, che per presidente del Consiglio e ministri, chiamati a comparire in udienza in veste di imputati, costituisce legittimo impedimento ”il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti”. Tuttavia, dopo l’intervento della Corte Costituzionale, la norma è stata in parte bocciata, in parte interpretata e in altra parte manipolata. Ecco cosa resta dello ‘scudo’ dopo il verdetto di oggi della Consulta.
Cosa costituisce “impedimento”. Al primo comma dell’art. 1 si indicano nel dettaglio leggi e regolamenti che disciplinano le attività del premier e dei suoi ministri e che dunque possono essere considerate legittimo impedimento. Si tratta di consiglio dei ministri, incontri internazionali, conferenza Stato-Regioni e tutto ciò che è previsto – nello specifico – dagli articoli 5-6-12 della legge 23 agosto 1988 n.400 e successive modificazioni; gli articoli 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio del 1999 n. 303 e successive modificazioni; regolamento interno del Consiglio dei ministri di cui al decreto del presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre 1993.
Le attività “coessenziali”. Dopo l’elenco minuzioso delle norme che indicano le funzioni di premier e ministri, sempre il comma 1 spiega che sono comunque oggetto di legittimo impedimento le ”relative attività preparatorie e consequenziali, nonché ogni attività comunque coessenziale alla funzioni di governo”. A patto però – ed è questo l’elemento interpretativo fornito dalla Consulta – che resti impregiudicato il potere del giudice a valutare l’impedimento, secondo quanto già oggi previsto dal’art. 420-ter del codice di procedura penale nei confronti di qualsiasi imputato impossibilitato a comparire in udienza per ”caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento”.
Il potere del giudice. Il terzo comma prevede che, su richiesta di parte, quando ricorrano le ipotesi precedentemente elencate, il giudice rinvia ad altra udienza solo dopo aver valutato in concreto l’impedimento. Su questo punto la Consulta è intervenuta con una sentenza additiva. Il certificato di Palazzo Chigi non basta. La Consulta ha cancellato in toto il comma 4 che prevedeva l’obbligo per il giudice di rinviare l’udienza non oltre sei mesi in caso di certificazione da parte della Presidenza del Consiglio dell’impedimento ”continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni” di premier e ministri.
Prescrizione sospesa. Il corso della prescrizione rimane sospeso per tutta la durata del rinvio La legge 51 del 2010 continua ad applicarsi anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado alla data di entrata in vigore della legge. Lo ‘scudo’ – è scritto all’art. 2 che la Consulta ha mantenuto intatto – si applica ”fino all’entrata in vigore della legge costituzionale” che dovrà contenere ”la disciplina organica delle prerogative del presidente del Consiglio e dei ministri”. Comunque la sua efficacia non potrà durare più di 18 mesi dalla sua entrata in vigore (e dunque fino ad ottobre prossimo), salvi i casi previsti dall’articolo 96 della Costituzione nel quale si parla della possibilità di sottoporre alla giurisdizione ordinaria il presidente del Consiglio e i ministri per reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, previa autorizzazione delle Camere di appartenenza. L’obiettivo della norma è quello di ”garantire il sereno svolgimento delle funzioni” di governo.