Legittimo impedimento, Ghedini alla Consulta: “Non limita il potere di decisione dei giudici”

Niccolò Ghedini

Il legittimo impedimento ”non sostituisce o abroga l’articolo 420-ter del codice di procedura penale (che regola l’assoluta impossibilità a comparire dell’imputato per causo fortuito o forza maggiore, ndr.) ma si limita a tipizzare l’impedimento” del premier ”pur conservando la facoltà di apprezzamento del giudice che la legge gli attribuisce”.

Con queste parole l’avvocato Niccolò Ghedini, uno dei legali del presidente del Consiglio assieme a Piero Longo, ha difeso nell’aula di udienza di palazzo della Consulta la validità del ‘legittimo impedimento’.

Dinanzi ai giudici costituzionali Ghedini ha parlato per circa un quarto d’ora sulla rilevanza della questione di legittimità sollevata dai giudici di Milano. E, nel sottolineare che anche precedenti sentenze della Consulta hanno indicato l’apprezzamento da parte del giudice sui casi di impedimento dell’imputato, ha così voluto rispondere ad una specifica domanda del giudice relatore, Sabino Cassese, che invitava i difensori a chiarire quanto il potere di controllo del giudice sui casi di legittimo impedimento di premier e ministri potesse svolgersi sulla ”consistenza del fatto e dell’evento o anche sulla sua concomitanza”.

Ghedini  ha portato come esempio i casi di malattia dell’imputato impossibilitato a presentarsi in udienza: ”Se c’è una patologia invalidante – ha sottolineato il legale – non si può negare l’apprezzamento da parte del giudice sul punto”.

L’avvocato ha quindi difeso quella che ha definito una “leale collaborazione” offerta ai giudici di Milano ”per celebrare i processi” a carico del premier. Secondo Ghedini, infatti, ”i tempi ragionevoli del processo e la sua speditezza sono sempre assai opinabili e trovano una elastica applicazione a seconda del caso”.

”I tempi – ha aggiunto –  sono un po’ come l’esercizio dell’azione penale e il carattere della discrezionalita’ in concreto dell’azione penale lascia qualche perplessità ”. Secondo il legale del premier i giudici di Milano ”avrebbero dovuto usare quegli strumenti interpretativi che la Consulta gli aveva già proposto” in precedenti sentenze prima di fare ricorso alla Corte sul legittimo impedimento.

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Emiliano Condò