ROMA – Nella serata di domenica (1 maggio) arriva l’attesa schiarita nella maggioranza: la crisi sulla Libia minacciava di avere conseguenze nefaste per la tenuta del governo, anche perché i rapporti tra Bossi e Berlusconi non erano mai giunti a un punto più basso. I due, dopo che il Senatur si era negato per giorni, dovrebbero avere un incontro risolutivo nella giornata di lunedì. Berlusconi si presenterà con il ramoscello d’ulivo della piena accettazione della mozione leghista (“Il testo è costruttivo”) , che fissa in anticipo un termine ultimo alle operazioni sul territorio libico. La mozione andrà limata, subirà qualche ritocco, ma sostanzialmente è stata sdoganata: unico problema del Pdl è quello di mascherare la natura del provvedimento, che sa tanto di capitolazione totale ai diktat della Lega.
Insomma la ferita è in via di guarigione: la parte del medico curante, come era ampiamente prevedibile, se l’è assunta Giulio Tremonti. Sua la mediazione, suo il successo. D’altra parte il mood leghista è notorio: no alle bombe e chi tocca Giulio muore. Una linea politicamente piuttosto primitiva, che corre su un binario obbligato: guerra e governo vanno distinti. Le azioni militari hanno come diretta conseguenza l’invasione di clandestini, ma il governo deve durare, Tremonti garantisce federalismo e nomine pesanti negli assetti cruciali, tipo quelli bancari o di aziende di peso, come si è potuto osservare nelle nomine Enel, Eni e Finmeccanica.
Per arrivare a un compromesso onorevole, leggi per salvare Berlusconi, la Lega non ha rinunciato a presentare un conto salato. Da bravi sindacalisti impegnati a ottenere il massimo da una trattativa, gli uomini del Carroccio hanno chiesto due o più sottosegretari (Agricoltura e Sviluppo economico), il trasferimento della Consob al Nord, misure nel decreto sviluppo. Una Lega di lotta e di governo che però, a differenza di dieci anni fa, tiene in grande considerazione le mosse del Presidente della Repubblica. Sulla missione è Napolitano il garante dell’affidabilità in politica estera e Bossi va giurando a ogni occasione che mai si metterebbe di traverso al Colle.