Libia, a Bengasi manifestazione pro-Italia: “Grazie di aver riconosciuto il Cnl”

BENGASI – ”Grazie Italia”, e ancora, come in uno stadio: ”Italia, olé”. Decine di persone a Bengasi hanno espresso oggi così, a gran voce e ripetutamente, la loro riconoscenza a Roma per aver deciso di riconoscere quale interlocutore politico il Consiglio nazionale provvisorio libico, ovvero il braccio politico della Rivoluzione del 17 febbraio 2011.

E hanno deciso di farlo davanti ad un luogo altamente simbolico: il consolato italiano nel centro della città, devastato il 17 febbraio 2006 nel corso di una manifestazione per protestare contro l’allora ministro Roberto Calderoli che aveva mostrato in diretta tv una maglietta con le vignette che raffiguravano il Profeta Maometto.

In quei giorni, quelle vignette avevano già infiammato l’intero mondo islamico, innescando proteste e violenze in molte capitali e città. Anche nella stessa Bengasi, quel giorno morirono 14 persone, quando le forze di sicurezza aprirono il fuoco per disperdere i manifestanti.

”Sono vittime del regime criminale di Gheddafi”, ha detto oggi Mohammad Saleh, 65 anni, padre di una di quelle vittime, Murad, che aveva 22 anni. Ora Mohammad non ha alcun senso di rancore verso l’Italia, anzi: ”A Roma c’è il miglior governo del mondo, assieme a quello di Parigi, perché hanno riconosciuto il Consiglio Nazionale”, afferma parlando con calma quasi a voce bassa, mentre alle sue spalle i manifestanti si accalcano nello sventolare bandiere italiane e libiche dell’era pre-Gheddafi.

L’avvocato Ali Awad, portavoce del comitato delle vittime di quella sciagurata giornata, afferma che ”l’Italia ha preso la decisione giusta, nel sostenere la nostra rivoluzione, e siamo certi che in futuro avrà relazioni con la Libia di certo migliori di quelle che ha avuto con Gheddafi”.

Ed è anche per esprimere questa convinzione in modo concreto, che il suo comitato, dice, ha deciso di promuovere un’iniziativa popolare di raccolta di fondi per restaurare il consolato italiano, che da allora è stato chiuso e abbandonato.

Guido de Sanctis, un funzionario della Farnesina a Bengasi, si dice sorpreso e felice di questa iniziativa, e di questo calore, ma realisticamente nota che per restaurare l’edificio – due piani, in pietra, costruito negli anni ’30 – sono necessarie almeno diverse centinaia di migliaia di euro. Ma in fondo questo è un fattore secondario, perché, nota, ”quello che conta è che noi vogliamo continuare a lavorare al meglio in Libia e loro dimostrano di essere felici di accoglierci”.

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Published by
Maria Elena Perrero