ROMA – “E’ definitivo. Non sono candidato. Dopo appena una legislatura”. Stefano Ceccanti annuncia così l’amarezza e lo stupore nel non vedere il suo nome nelle liste Pd dei candidati al Senato per le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio. Ceccanti, al quinto posto per produttività complessiva tra i senatori e secondo nel gruppo Pd, non avrà il suo nome su una delle liste.
Ceccanti ha dichiarato: “Non è servito essere al quinto posto per produttività complessiva di tutti i senatori, secondo del gruppo Pd. Non sono serviti il 95 per cento di presenza alle votazioni, i 719 interventi in Aula e Commissione, l’essere stato primo firmatario di 33 progetti di legge soprattutto in materia elettorale e istituzionale, relatore delle leggi sul dimezzamento dei rimborsi elettorali e sull’anti-corruzione, sulle nuove Intese con le confessioni religiose di minoranza, Ortodossi, Apostolici, Mormoni, Buddisti, Induisti, nonché il ruolo di relatore di minoranza contro leggi del Governo Berlusconi.
Il senatore del Pd continua: “Non è servita la lealtà dimostrata nel non aver mai rotto la disciplina di Gruppo, né in Commissione né in Aula, anche quando le mie opinioni erano diverse, né l’aver lavorato per alcuni anni alla Presidenza del Gruppo, in particolare in raccordo con l’ufficio legislativo”.
Poi analizza le ragioni dell’esclusione: “Dato quindi che l’esclusione non è motivabile né in termini di anni di legislatura, né di produttività , né di slealtà , l’unica interpretazione plausibile è che si tratti di una chiara scelta politica. Una scelta che ha ritenuto incompatibile la mia presenza in Parlamento a causa della costante sottolineatura del dovere di continuità , pur nel mutato contesto politico, con l’agenda Monti, che il Pd aveva lealmente sostenuto come partito fino a poche settimane fa. Capisco, peraltro, che questa è la causa delle mancate ricandidature e delle mancate nuove immissioni di una significativa area politica, pur minoritaria”.
Infine Ceccanti esprime la sua amarezza e lo stupore: “Prendo quindi atto con amarezza e, in parte, con stupore, che un Partito che si dichiara Democratico si rivela avere una concezione così limitativa del proprio pluralismo interno. Un dato su cui meditare seriamente”.
