Spesa Pubblica e riforma delle pensioni
Malgrado i tagli annunciati in ogni manovra finanziaria, negli ultimi dieci anni, fra il 2001 e 2010, la spesa pubblica al netto degli interessi è continuamente aumentata, dal 41,8% al 46,7% del Pil, mentre era diminuita, in rapporto al Pil, nel decennio precedente. Questo dato non è dovuto solo alla bassa crescita del Pil: la spesa, sempre al netto degli interessi, è infatti cresciuta nell’ultimo decennio di venti pun¬ti percentuali in più dell’inflazione, mentre negli anni novanta era cresciuta solo di otto punti in più. L’aumento si è concentrato fra il 2000 e il 2005, quando l’Italia sperperò il dividendo di Maastricht e portò a zero un avanzo primario ereditato da¬gli anni novanta pari a oltre 5 punti del Pil.
In base all’ultimo documento ufficiale (Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza; 22 settembre 2011), per conseguire il pareggio nel 2013 e ini¬ziare a ridurre il rapporto fra il debito e il Pil, il saldo primario dovrebbe migliorare di quasi 90 miliardi di euro, da -0,1 del Pil nel 2010 a +5,4 nel 2013. Dovrebbe rima¬nere fra il 5 e il 6 % negli anni successivi. In sostanza in tre anni si dovrebbe recupe¬rare il decennio perduto, tornando stabilmente ai livelli della fine degli anni novan¬ta.
È di assoluta evidenza che questi obiettivi non possono essere conseguiti se non si avviano quelle riforme strutturali della spesa che sinora sono state rinviate.
È fondamentale che si dia piena attuazione ai tagli già programmati. Ma è altresì essenziale che i tagli non siano indiscriminati e siano volti a colpire i veri e grandi sprechi che si annidano nelle pubbliche amministrazioni. A questo fine, occorre che si dia seguito con la massima serietà e determinazione all’esercizio della spending review.
In questo contesto bisogna intervenire con decisione sui costi della politica e sugli apparati istituzionali. Si tratta di una misura che non ha un valore soltanto simboli¬co, ma che può contribuire, attraverso l’eliminazione di duplicazioni organizzative e procedurali che pesano su cittadini e imprese, a migliorare l’assetto dello Stato e le sue performance.
La Manovra di agosto ha profondamente deluso. L’aver escluso la riduzione delle Province – inizialmente prevista seppure con molti limiti – e l’averla rinviata a un DDL costituzionale è stata una scelta sbagliata. Peraltro, il DDL approvato dal Con¬siglio dei Ministri non elimina le province tout court, ma le trasforma in altri enti, con relativi organi e personale. Analoga valutazione va fatta sulla riduzione dei trat¬tamenti economici dei parlamentari, fortemente attenuata rispetto alle proposte iniziali.
Su queste scelte avevamo già dato un giudizio negativo. Questi tagli vanno adesso fatti con decisione e senza ripensamenti, così come è necessario procedere a una significativa riduzione del numero degli organi elettivi a tutti i livelli di governo.
La spesa sanitaria è cresciuta da 67,5 miliardi a 113,5 miliardi nel decennio 2000¬2010 a un tasso medio annuale di oltre 2 punti superiore a quello del PIL. Vanno realizzate condizioni effettive per favorire una maggiore efficienza complessiva. In tal senso, occorre sviluppare ulteriormente forme di compartecipazione da parte dei cittadini abbienti, spingere sul processo di informatizzazione e, favorire lo svi¬luppo delle varie forme di sanità integrativa.
Anche la spesa per acquisti di beni e servizi della PA (comprensiva degli acquisti per la sanità) è cresciuta più del PIL nel decennio appena concluso da 87,4 a 137 miliar¬di, toccando l’8,8% nel 2010 contro il 5,6% nel 2000 (crescendo del 56,8% in termi¬ni nominali e del 45,7% in termini reali). I processi decisionali e operativi in tale ambito devono essere improntati alla massima trasparenza e confrontabilità. An¬drebbe in questa direzione l’obbligo della fatturazione elettronica. Inoltre, è neces¬sario che gli acquisti siano maggiormente improntati alla qualità e all’appropriatez- za, superando l’unico parametro del prezzo più basso.
Un settore fondamentale di intervento dal quale non si può prescindere è quello della spesa per pensioni.
Le misure attuate finora hanno stabilizzato le tendenze di lungo periodo della spesa pubblica per pensioni (circa 15% del Pil nel 2008 secondo gli ultimi dati Eurostat), ma su un livello più elevato rispetto agli altri paesi europei (+3,3 punti di Pil in più rispetto alla media UE, 2,5 punti rispetto ai paesi dell’area euro). In vari paesi l’età legale di pensionamento è stata portata a 67 anni; anche in Germania dall’anno prossimo verrà avviato un graduale processo di elevazione dell’età di pensione (uomini e donne) da 65 a 67 anni.
È necessario eliminare rapidamente le pensioni di anzianità, accelerare l’aumento dell’età di pensionamento di vecchiaia, equiparare l’età di pensionamento delle donne a quella degli uomini anche nel settore privato.
Ritardare questo aggiustamento significa solo renderlo più costoso socialmente ed economicamente. Il tempo finora perduto su questo fronte pesa enormemente sui conti pubblici. In base agli ultimi dati disponibili, relativi al 2008, la spesa per pen¬sioni di vecchiaia erogata a persone con meno di 64 anni di età supera i 55 miliardi, di questi ben 17 miliardi sono erogati a persone fra i 40 e i 59 anni.
Secondo le valutazioni ufficiali, fra il 2010 e il 2013, la spesa per pensioni crescerà di quasi 33 miliardi. Ciò comporta che la correzione sulle altre voci che compongo¬no il saldo primario dovrà essere superiore ai 120 miliardi, una cifra destinata a sali¬re ulteriormente negli anni successivi in funzione dell’obiettivo di ridurre l’incidenza del debito pubblico.
È quindi evidente che la riforma delle pensioni è indispensabile per contribuire a stabilizzare il debito pubblico, oltre che a rendere meno iniquo il rapporto fra gene¬razioni, a fronte del fenomeno, comune a tutti i paesi ma particolarmente accen¬tuato da noi, dell’invecchiamento della popolazione. Un contributo in questa dire¬zione può venire dall’ulteriore sviluppo del sistema di previdenza integrativa.
Se le misure sulle pensioni pubbliche non vengono decise rapidamente, corriamo il rischio di dover assumere, in condizioni di assoluta emergenza, provvedimenti ben più dolorosi, quali la messa in mobilità di decine di migliaia di dipendenti pubblici, come sta già accadendo in molti altri paesi.
Si può stimare che le misure proposte – vedi box – determinino un risparmio iniziale complessivo di circa 2,9 miliardi di euro nel 2013 e di circa 18 miliardi di euro nel 2019. Tali stime si riferiscono al solo sistema Inps.
Le risorse reperibili con la riforma delle pensioni devono anche concorrere a realiz¬zare gli interventi cruciali per la crescita e in particolare a ridurre l’attuale cuneo contributivo e fiscale e rilanciare così l’occupazione, soprattutto dei giovani.
