Manovra: il Pdl sbanda, governatori di destra in rivolta

Giulio Tremonti

ROMA – Il decreto sulla manovra bis potrebbe rischiare in Parlamento per il voto finale. Stavolta infatti non c’è solo la Lega ad opporsi nella maggioranza, ma anche alcune fazioni del Pdl che non reggono il rigore scaturito dai punti di Tremonti and company. A ribellarsi sono soprattutto i governatori e i sindaci di destra che hanno già fatto sapere di non essere favorevoli alle misure presenti nel decreto.

”Senza interventi al Sud nessun voto può considerarsi scontato”, dice il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e leader di Forza del Sud, Gianfranco Miccichè, al termine del vertice dei parlamentari nazionali di Forza del Sud a Roma che si sono riuniti per elaborare le strategie da adottare affinchè la manovra non penalizzi il Sud.

”La crisi economica – spiegano, in una dichiarazione congiunta al termine dell’incontro – non si supera senza una serie di riforme in grado di perequare le condizioni infrastrutturali del Paese e senza varare un serio piano di interventi di carattere strutturale”.

”Ci riferiamo ad una radicale riforma degli enti locali, con l’accorpamento dei comuni più piccoli o dei loro servizi essenziali e la riduzione della composizione dei loro organismi elettivi, ad una riforma elettorale – proseguono – che riduca il numero dei parlamentari e ritorni ai collegi uninominali a turno unico, alla soppressione delle province ed al trasferimento delle loro competenze ai comuni ed alle regioni, alla immediata cessione delle quote pubbliche delle società e degli enti a totale o parziale partecipazione pubblica, alla esternalizzazione- continua la compagine parlamentare di Forza del Sud- delle funzioni pubbliche non strategiche, alla drastica semplificazione burocratica, soprattutto per le imprese, oltre che per i cittadini.

Gli enti locali infatti piangono miseria e si lamentano col governo: la manovra, secondo loro, incide troppo sugli effetti del federalismo fiscale, togliendo loro fondi. E si accende lo scontro con l’esecutivo. A guidare la “rivolta” è il governatore lombardo Roberto Formigoni: “Con i tagli che il governo ci ha proposto oggi possiamo dire ufficialmente che il federalismo fiscale è morto”. La replica del ministro per la Semplificazione Normativa, Roberto Calderoli: “Formigoni sbaglia”. E poi, a seguire, anche il leader leghista Umberto Bossi in versione rassicurante: “Gli enti locali non devono avere paura, la manovra non tocca il federalismo”.

Formigoni si è detto stupito delle parole di Calderoli e ha aggiunto che “la sua impossibilità di entrare nel merito delle mie affermazioni ne dimostra l’assoluta veridicità”. “E’ solo nei confronti delle Regioni – spiega – che il Governo nel 2010 ha fatto la scelta sbagliata di azzerare 4,5 miliardi di euro che erano ancora presenti nel bilancio dello Stato mentre non ha operato identica scelta per Comuni e Province”.

Dunque la Lega tenta in tutti i modi di difendere il federalismo fiscale, così come dice Bossi, ma sembrerebbe non bastare. Il sindaco di Verona Flavio Tosi ha infatti criticato Tremonti, definendo la manovra come una “fotocopia delle precedenti”. Si profila dunque un altro voto verità per il governo Berlusconi, l’ennesimo in meno di un anno. Stavolta si vota con una mano nel portafogli degli italiani.

Published by
Alessandro Avico