La politica non va in vacanza. Le festività natalizie, a Camere chiuse, saranno utilizzate per dispiegare tutte le strategie volte a resettare il quadro determinatosi dopo la fine dello sciame sismico degli ultimi mesi, tanto nella maggioranza quanto nelle opposizioni. L’una cercherà di ricomporsi in seguito alle defezioni registratesi nel Pdl che hanno messo a dura prova il governo, salvatosi per pochi voti dalla sfiducia organizzata dal più agguerrito degli oppositori di Berlusconi, il suo ex-delfino Gianfranco Fini, che è uscito invece con le ossa rotte dalla sfida improvvidamente lanciata al centrodestra e a Berlusconi. Dal canto loro, le minoranze, rissose e inquiete, svanito il sogno di mandare a casa il premier con un colpo di Palazzo, costrette ad abbandonare le tentazioni ribaltonistiche che Fini aveva alimentato con la sua improvvida iniziativa tesa a capovolgere l’esito elettorale, dovranno rimettersi in sesto e realisticamente prendere atto che in questa legislatura spazio per “governi di responsabilità nazionale”, altrimenti detti “governi degli sconfitti”, non ce n’è.
Di conseguenza saranno obbligate a mettersi seriamente a studiare le strategie più efficaci per tentare di non soccombere alle elezioni politiche, quando ci saranno, anticipate oppure alla scadenza naturale, senza trascurare l’importante appuntamento con le amministrative di primavera che saranno il banco di prova anche della maggioranza, sempre che la legislatura non si interrompa traumaticamente.
Fino alla metà di gennaio, insomma, partiti e schieramenti cercheranno di ristrutturarsi, tenendo conto sia del contesto interno, caratterizzato da un progressivo deterioramento della coesione sociale, di cui sono prova le violente manifestazioni degli ultimi mesi, sia del contesto internazionale, segnato dalle conseguenze della crisi economico-finanziaria.
Al di là della ordinaria e straordinaria gestione politico-amministrativa, Berlusconi spera che venga risolta una volta per tutte l’anomalia di un presidente della Camera che non soltanto è impropriamente capo di un partito nato dalla scissione da lui stesso promossa dalla formazione che ha contribuito a fondare, ma è soprattutto l’animatore della più dura opposizione al premier: una condizione che non si era mai verificata nella storia della Repubblica e della quale i rapporti parlamentari non possono che subire contraccolpi che minano la legittimità dell’istituzione che Fini dovrebbe rappresentare super partes.
Non basta dire che i suoi comportamenti sono inattaccabili dal punto di vista formale: chi presiede l’Assemblea di Montecitorio deve anche apparire “terzo” affinché nessuno possa avere dubbi sulle sue scelte. E d’altra parte è disdicevole, perfino esteticamente, che un’autorità politica di garanzia sia in conflitto aperto con la maggioranza parlamentare e faccia un uso discutibile del ruolo che la Costituzione gli assegna. Se finora Fini non ha ritenuto di doversi dimettere, trincerandosi dietro il regolamento della Camera che non lo prevede per il semplice fatto che a nessuno poteva venire in mente che un giorno sarebbe accaduto ciò che è sotto gli occhi di tutti, sarà il caso che le forze politiche stesse ed il presidente della Repubblica operino una sorta di moral suasion per mettere fine ad una situazione deprecabile trascinatasi così a lungo. Berlusconi farà di tutto, con la forza della sua maggioranza, affinché Fini lasci la presidenza della Camera rinnovando a Napolitano, che nessun potere ha in materia, le legittime preoccupazioni in vista del buon andamento dei lavori parlamentari. Dalla soluzione di questo primo punto all’ordine del giorno, si capirà forse se la legislatura marcerà più speditamente oppure dovrà dibattersi in un conflitto istituzionale che marcherà negativamente il processo normativo.
Contemporaneamente il Cavaliere sarà impegnato ad allargare la base della maggioranza che lo sostiene. E’ fin troppo evidente che fin quando Fini resterà al vertice di Montecitorio, sarà più difficile che titubanti parlamentari di Fli tornino nel Pdl o, molto più verosimilmente, si aggreghino a quel gruppo di “responsabilità nazionale” in via di formazione, cui dovrebbero aderire, insieme con numerosi deputati oggi parcheggiati nel gruppo misto, altri di provenienza cattolica dall’Udc e dal Pd, distinti e distanti da Berlusconi a cui, tuttavia, non faranno mancare il loro appoggio vuoi per salvare la legislatura che per approvare riforme strutturali necessarie.
Se l’operazione dovesse riuscire, sottraendo a Fli almeno altri cinque deputati, dopo i sei che ha già perso, il peso di Fini continuerebbe a scendere e forse Casini si convincerebbe che per lui ed il suo partito l’ingresso nella maggioranza, e magari in un secondo tempo nel governo, gli schiuderebbe un avvenire politico all’altezza delle sue ambizioni e coerente con i valori ispiratori del centrodestra che lui stesso, non lo si dimentichi, ha contribuito ad organizzare salvo poi distaccarsene non condividendo il percorso che ha portato alla costituzione del Pdl.
Se il leader dell’Udc comprenderà che nessun terzo polo è elettoralmente possibile, a meno che non si allei con la sinistra finendo per perdere buona parte dei propri consensi, sarà fatale il suo avvicinamento al Cavaliere e, di conseguenza il fumoso Polo della nazione, messo su in questi giorni, come coordinamento di cento parlamentari, tra deputati e senatori, che intendono proteggersi da un lato da fughe verso il centrodestra e dall’altro tentare di far durare la legislatura (l’Udc non voterà la mozione di sfiducia Bondi e potrebbe cooperare a trovare una soluzione legislativa qualora la Consulta dovesse respingere bil legittimo impedimento), sarà destinato a sciogliersi come neve al sole. Tra i promotori, non ce n’è uno che stia al proprio posto. Tutti divisi quasi su tutto: come si può pensare che vadano avanti verso la costruzione di un soggetto unitario, sia pure a fini limitatamente elettorali? I cittadini se dovessero trovarsi in lista Casini, Rutelli, Fini (da vice-Berlusconi a semplice gregario di un fragile raggruppamento parlamentare, dopo aver liquidato due partiti dei quali era il leader incontrastato: incredibile!), Lombardo, La Malfa che impressione riporterebbero? D’accordo, le ideologie sono finite, ma per fortuna la decenza, ancorché debolmente, resiste ancora…
Dovrebbe capirlo Bersani – e siamo all’ultimo punto delle vacanze di lavoro politico natalizie – che con una superficialità davvero sconcertante, al punto di aver creato un putiferio nel Pd, ha detto che volentieri proverebbe a costruire un’alleanza con il terzo polo, anche a costo di gettare alle ortiche le primarie, uno dei più micidiali ed autolesionistici strumenti di tortura che il maggior partito della sinistra si sia inventato. Alleanza con chi ancora non esiste e forse non esisterà mai? Certo che poi Casini gongola: chi glielo doveva dire che Babbo Natale sarebbe stato così generoso quest’anno? Non ha ancora fatto un partito, neppure l’ha annunciato, nemmeno il tempo di sedersi con altri commensali allo stesso tavolo e Bersani che chiede di poter partecipare all’allegra rimpatriata di vecchi ragazzi, un po’ stagionati per avventure politiciste. Al leader dell’Udc non è sembrato vero poter mostrare il petto al Cavaliere pur sapendo che questi il bluff lo andrà a vedere volentieri avendo sempre in mano la carta migliore: le elezioni anticipate.
Che cosa farà, dunque, la sinistra? Dovrà regolare i conti con l’attuale leadership del Pd: Di Pietro e Vendola sono lì che aspettano impazienti, ma, nella malaugurata ipotesi che Bersani dovesse tergiversare nella scelta, sarà il suo stesso partito a ribellarsi.
Maggioranza e opposizioni sotto l’albero a Natale troveranno sacchi colmi di problemi. Non potranno accantonarli e scartarli dopo le feste. Non c’è tempo. Alla fine di gennaio si chiude lo spazio per poter votare a primavera, magari contemporaneamente con con le già previste amministrative. Se si vuole evitare la conta è bene che ognuno si muova per tempo. Altre manfrine parlamentari, non sono alle viste per poter tirare a campare. Qualcuno potrebbe tirare le cuoia, ma nelle urne.