Mills fu corrotto dopo aver testimoniato per Berlusconi

David Mills

David Mills fu corrotto dopo le sue testimonianze a favore di Berlusconi. Secondo le motivazioni della sentenza emessa dai giudici della seconda sezione penale della Corte d’Appello di Milano, l’avvocato inglese è stato condannato a 4 anni e mezzo per corruzione in atti giudiziari “susseguente” e non “antecedente” alle testimonianze, ritenute false e reticenti, che rese nell’intento di favorire il premier.

Secondo i consiglieri di Corte d’appello l’accordo illecito tra Mills e un emissario di Berlusconi si è concluso alla fine del 1999: dunque, non prima, come era stato ritenuto con la condanna di primo grado, ma dopo le testimonianze rese da Mills nei processi All Iberian e Arces.

Gli elementi certi sono “un compenso di 600.000 dollari e la promessa di tale compenso nell’autunno 1999. Elementi che – si legge nella sentenza – si collocano temporalmente in epoca successiva rispetto alle deposizioni testimoniali di Mills, e da essi non si può pertanto prescindere per valutare la qualificazione del tipo di corruzione”.

Nella sentenza si parla di una “promessa di Carlo Bernasconi (amico di Mills e figura manageriale del gruppo Fininvest) che sicuramente è avvenuta nell’autunno 1999 e di un compenso che è disponibile successivamente a tale data”.

Il momento in cui si “consuma” il reato è il 29 febbraio 2000, “data in cui Mills si fa intestare le quote del Torrey Global Fund – rilevano i giudici – Di contro non vi è alcun dato che indichi che l’accordo sia intervenuto in epoca precedente alle dichiarazioni rese da Mills come teste”.

Il 29 febbraio del 2000 è quindi la data in cui la promessa fatta a Mills nel 1999 si realizza: “A ben vedere la data può non essere un caso – scrive il giudice Rosario Spina, che ha depositato le motivazioni – La data del 29 febbraio 2000 è immediatamente successiva al momento in cui si é celebrata la fase di appello del processo, in cui Mills è stato assunto come teste, e proprio successivamente a tale celebrazione, quando la Corte ha deciso di non rinnovare il dibattimento, si ha la certezza che lo stesso non dovrà essere piùsentito come teste, e quindi la vicenda si può considerare conclusa”.

I consiglieri d’Appello non hanno accolto neanche la tesi della difesa secondo cui Mills non potrebbe essere condannato, perché la sua testimonianza non avrebbe prodotto alcun vantaggio a Silvio Berlusconi. “E’ necessario – conclude la sentenza – che la condotta sia stata semplicemente finalizzata a produrre un vantaggio indipendentemente dal fatto che questo si sia prodotto. Il fatto che Berlusconi non sia stato assolto non ha rilievo. Mills stesso ha ammesso apertis verbis di avere comunque evitato a Berlusconi un mare di guai con la sua deposizione”.

I giudici hanno poi definito “genuina e credibile” la confessione fatta dall’avvocato David Mills, in cui spiegava di aver aiutato Silvio Berlusconi con le sue testimonianze rese nei processi che riguardavano l’attuale premier: un “servizio” per cui era stato poi compensato con il versamento di 600.000 dollari.

La confessione è dunque uno dei principali motivi per cui il collegio d’Appello milanese, presieduto dal giudice Flavio Lapertosa, ha confermato la condanna di primo grado.

La confessione a cui si riferiscono i magistrati milanesi è quella rilasciata dall’avvocato inglese in una lettera del 2 febbraio 2004, scritta in via confidenziale, a Robert Drennan per avere da lui una consulenza professionale in materia fiscale, non avendo denunciato al Fisco inglese i 600.000 dollari.

«Io mi sono tenuto in stretto contatto con le persone di “B” e loro conoscevano la mia situazione – scrive Mills nella lettera – Sapevano bene che la modalità con la quale io avevo reso la mia testimonianza (non ho mentito ma ho superato passaggi difficili, per usare un eufemismo), avesse tenuto Mr B fuori da un sacco di problemi che gli sarebbero ricaduti addosso se solo avessi detto tutto quello che sapevo».

«All’incirca alla fine del 1999 – prosegue la missiva – mi fu detto che avrei ricevuto dei soldi, che avrei potuto considerare come un prestito a lungo termine o un regalo. 600.000 dollari furono messi in un hedge fund e mi fu detto che sarebbero stati a mia disposizione, se ne avessi avuto bisogno”.

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Emiliano Condò