ROMA – Sfogliando il “carciofo amaro” dei sottosegretari del governo Monti, ci si rende conto che l’esecutivo “dei professori” ha iniziato a sporcarsi le mani con la realtà del potere e della politica italiana e che non poteva pescare solo nomi al di sopra di ogni sospetto o critica. Così scorrendo la lista dei 29 (25 sottosegretari, 3 viceministri, un nuovo ministro) nuovi componenti della squadra di Monti, si scorge qualche biografia che merita approfondimento.
A iniziare del magistrato Giuseppe Patroni Griffi, che prenderà il posto di Renato Brunetta come ministro della Funzione Pubblica e che proprio di Brunetta (figura non certo super partes e non certo al di sopra delle polemiche) era il capo di gabinetto. Nato a Napoli 56 anni fa, Patroni Griffi non è certo uno di “primo pelo” quanto a incarichi istituzionali: è stato già segretario generale dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali; capo dell’ufficio legislativo della Funzione pubblica con i Ministri Cassese, Frattini, Motzo, Bassanini; capo di gabinetto del Ministro per le riforme istituzionali Amato; Capo del Nucleo per la semplificazione delle norme e delle procedure.
E poi, secondo quanto riporta Il Giornale:
Un anno fa era stato intervistato in merito a un’inchiesta sui magistrati fuori ruolo. In pratica, si parlava di quei magistrati prestati temporaneamente ad altri incarichi, che continuavano comunque a percepire un dignitosissimo stipendio: centinaia di migliaia di euro l’anno. Per la precisione: 150 mila euro più 200 mila euro all’anno.
E’ questo il caso di Griffi, appunto. Il quale, a Report (guarda il video al minuto 4.20) si era giustificato in questo modo: “Forse la cosa si può anche trasformare. La realtà è questa, cioè che messa così: tu vieni pagato da un ente e non lavori per quell’ente non si presenta molto bene, evidentemente. Se invece si cambia un attimo la prospettiva, e si considera che…in realtà, io vengo pagato per il tipo di lavoro che svolgo e, se non fossi un magistrato, prenderei la stessa cosa, più o meno, solo che probabilmente lo prenderei tutto dall’amministrazione…in cui presto l’attività lavorativa”
Di Carlo Malinconico, nato a Roma nel 1950, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, si ricorda che è stato presidente della Federazione degli editori, la Fieg, incarico da cui si è dimesso da poche ore. Come presidente della Fieg, nell’aprile del 2010 propose di tassare internet:
Una piccola tassa da imporre su ogni connessione alla Rete, che sostenga il settore dal momento in cui permette a tutti i netizen di usufruire di contenuti editoriali online. Il presidente FIEG ha quindi citato l’esempio tedesco, che prevede una tassa su ogni computer, tuttavia sottolineando come le sue intenzioni siano di diverso tipo. “Un prelievo di entità modesta – ha spiegato Malinconico – dal costo di un caffè al mese o giù di lì, per realizzare una dote di risorse che possa essere d’aiuto in questo frangente”. E non si tratterebbe di una soluzione radicale alla crisi – questo Malinconio lo ha ammesso – ma una “misura da adottare in maniera transitoria”. “Uno strumento forfettario” per rimpinguare le casse di un editoria in crisi di vendite, di lettori, di inserzioni pubblicitarie.
Quando Malinconico, il cui nome completo è Carlo Malinconico Castriota Scanderbeg, era segretario generale alla presidenza del Consiglio (governo Prodi), ebbe in omaggio un soggiorno all’Argentario da Diego Anemone ed Angelo Balducci, a processo per gli appalti del G8. Ancora prima, nella complicata vicenda che portò alla nomina a direttore generale della Rai di Alfredo Meocci, Malinconico diede un parere decisivo (parere pagato 18 mila euro) che poi costò allo Stato un danno erariale quantificato da una sentenza della Corte dei Conti in 11 milioni di euro.
A sottosegretario della Difesa va Filippo Milone, già capo della segreteria di Ignazio La Russa, uomo di fiducia del non memorabile ministro della Difesa uscente e, come lui, originario di Paternò. Di Paternò è anche il costruttore Salvatore Ligresti, e Milone del gruppo Ligresti era manager. Secondo il Fatto Quotidiano
Milone si trova al centro di una conversazione telefonica di Lorenzo Borgogni, ex direttore centrale delle relazioni istituzionali di Finmeccanica, con Marco Forlani, dirigente del gruppo. Anche per questa telefonata il pm di Roma Paolo Ielo ha chiesto l’arresto di Borgogni, negato poi dal gip. Nella conversazione i due manager parlavano di un contributo sollecitato dallo stesso Milone in occasione della convention del Pdl a Milano del 2010, ammessa da Borgogni anche durante l’interrogatorio di due giorni fa. Il nuovo sottosegretario alla Difesa, quindi, soltanto l’anno scorso, chiedeva a Forlani di sollecitare Borgogni affinché si sbrigasse a far avere al Pdl un contributo. L’inchiesta su Finmeccanica sta rivelando un presunto sistema di versamenti illeciti dal colosso della difesa, controllato dal ministero del Tesoro, al mondo della politica. Al governo arriva anche Giovanni Ferrara, diretto superiore di Paolo Ielo, che due giorni fa ha posto domande a Borgogni in un interrogatorio proprio su quel contributo sollecitato da da Milone.
Equivoco l’incarico dato all’ex portavoce del presidente Carlo Azeglio Ciampi Paolo Peluffo, attualmente consigliere della Corte dei Conti (nonché Cavaliere di Gran Croce della Repubblica e dell’Ordine pontificio di San Gregorio Magno): sottosegretario con delega all’Informazione e alla Comunicazione. “Comunicazione” e non “Comunicazioni”: nessuno ha capito bene cosa farà Peluffo a Palazzo Chigi, dove la responsabilità del dipartimento editoria è stata affidata al presidente della Federazione editori giornali Carlo Malinconico. Peluffo era stato, per un paio d’anni direttore del dipartimento e gli editori lo ricordano ancora senza particolare entusiasmo.