C’era una volta, era il regno di Gandalf o di Camelot o qualcosa del genere, l’uomo “per bene” che faceva il politico, il politico di mestiere, vocazione e professione. Era tanto tempo fa, nella notte dei tempi, trenta anni fa. Un politico di oggi, in una specie di seduta spiritica, ha evocato presenze trascorse e perdute pronunciando sillabe arcane: “Mo-Ro, Ber-Lin-Guer, La-Mal-Fa, Al-Mi-Ran-Te”. Formule esoteriche, per iniziati, incomprensibili ai contemporanei. Pare fosse una strana religione praticata da gente con bizzarre usanze. Facevano i politici a vita e non arricchivano. Nessuno comprava loro case a loro insaputa. Addirittura nessuno andava alle loro feste. Mitologia vuole che nemmeno tenessero feste a casa per rilassarsi. Non telefonavano in Questura e come “stile di vita” avevano quello di non avere di fatto altra vita che quella pubblica. Erano trenta anni fa, addirittura e qualcuno narra che altri trenta anni prima fosse anche peggio: De-Ga-Spe-Ri, To-Gliat-Ti, Nen-Ni. Altri miti, iscrizioni di una lingua incompresibile e perduta, difficilissima da decrittare. Sorta di geroglifici rimasti impressi niente meno che su materiali alieni e in disuso quali la carta, la carta di strane cose denominate libri.
I cantori di quel tempo immaginario di cui è rimasta solo inattendibile tradizione orale raccontano facessero anche cose dure e terribili come schierarsi al fianco di dittatori, almeno alcuni di loro. Ma mai nessuno di loro si fece uno scudo privato contro la legge o nominò ministri per “impedire” si presentassero ai giudici o conobbero “nipoti di Mubarak”. Il racconto è talmente incredibile che soggiace anche alla favola secondo cui a quel tempo i politici erano pagati poco e vivevano in case normali, anzi modeste. Figure mitologiche e fantasiose, come i draghi.
Chi può mai credere a simili panzane? Una specie di Erodoto, vissuto alla fine di quel tempo dei tempi, disse che tutto cambiò quando cominciò l’era del “convento povero e dei frati ricchi”. Era lo stesso Erodoto che ebbe a dire che la politica è “Sangue e merda”. Sangue e merda che, follia anche pensare sia mai stato così, la gente rispettava.
Oggi, nel mondo reale, politici e gente hanno ben altra tempra e connotati. Succede che la terza città del paese chiamata Napoli sia piena di immondizia, immondizia per strada a rischio epidemia. Tranne a chi ci inciampa e ci vive in quell’immondizia, non gliene frega niente a nessuno. Gli araldi del reame danno notizie brevi e distratte dell’immondizia, parlarne annoia. Succede che la contea del nord-est venga alluvionata e sguazzi nel fango con tutte le sue botteghe. Tranne che agli abitanti della landa orientale non gliene frega niente a nessuno. Parlarne annoia. Succede che il tempio, le vestigia degli avi, duemila anni dopo vadano in polvere. Ma alla gente della landa orientale di quel Pompei che deve essere in Mesopotamia non frega nulla, così come ai “mesopotamici” di Napoli e Pompei frega nulla di Vicenza e Padova a mollo. Succede che frani la contea di Calabria. Ma davvero? Frana da sempre… La gente del mondo di oggi, del mondo reale è sorda o assordata: le dici Ruby o Sarah e drizza le orecchie, aguzza lo sguardo. Le dici alluvione, immondizia o frana e sbadiglia.
Nel mondo reale di oggi ci sono i politici, quelli veri e non quelli delle favole. Dicono tutti che la colpa di tutto è che “non ci sono soldi”. Per gli argini, i restauri, la raccolta dell’immondizia. Poi scopri che nel reame si spendono 770 miliardi di euro all’anno di pubblico denaro. Ma chi vuole scoprirlo davvero? Non risulta in Parlamento un solo emendamento, uno solo di maggioranza o opposizione, per destinare parte di questa spesa a contenere i fiumi, pulire le città, restaurare e proteggere i templi. Non risulta una sola manifestazione di piazza per destinare soldi alla prevenzione delle alluvioni o alla salvaguardia di Pompei. Non c’è un solo governo di landa e di contea che abbia tolto qualche milione o miliardo di spesa da qualche altra parte per fermare i fiumi o la pioggia.
E soldi ce ne sono e ce ne sono stati. Per l’immondizia in Campania miliardi, miliardi che hanno pagato decine di migliaia di stipendi alti e bassi di lavori socialmente inutili. Per Pompei, ma sono stati spesi per i lampioni e per fare scena. Per il Veneto, la landa orientale, ma sono stati spesi per finanziare capannoni e cavalcavia. Dicono i politici del mondo reale che “non ci sono soldi”. Dicono il falso. Dicono che vogliono soldi da Roma o che a Roma non vogliono più pagare le tasse. Mentono due volte. Per pavidità e complicità. Pavidità nei confronti della gente e complicità con la gente. I soldi per il Veneto e per Pompei e poi quelli per la scuola o i giovani senza lavoro ci sono ma andrebbero tolti, sì tolti, a qualche altra cosa e a qualcun altro. Nessuno però dice mai a chi e a cosa si “toglie”. Mentono anche quelli che inorridiscono alla ministeriale frase per cui la “cultura non si mangia”. La cultura si mangia eccome, e fa mangiare se ci si investe. Ma se sulla cultura “ci si mangia” son soldi buttati e maledetti e non utili e benedetti. Questo gli indignati di opposizione non lo dicono mai. Così come i Bondi, i Zaia e i Caldoro mai dicono a chi togliere per dare a Pompei, ai fiumi del Veneto, alla salute di Napoli.
C’era una volta, era il regno di Gandalf, di Camelot o qualcosa del genere, un tempo nella notte dei tempi in cui politici a volte feroci, a volte crudeli praticavano uno strano rito: si assumevano una responsabilità, toglievano a qualcuno per dare a qualcuno, toglievanno a qualcosa per dare a qualcosa d’altro. Rischiavano politicamente e non arricchivano personalmente. Poi venne il tempo del debito e della gente sovrana nei suoi bisogni trasformati in diritti. Fu sconsacrato il tempio dei doveri. Un altro Erodoto dei giorni nostri, una specie di Nostradamus dei numeri dal nome evocativo, Draghi, ha di recente raccontato in una sorta di terzina: “E’ già successo, il reame, questo reame era nel secolo chiamato Seicento una landa ricca e che arricchiva. Poi i politici e i Signori, la gente e il popolo mutarono costumi e cultura e per due secoli il reame impoverì…”.