TRIPOLI – “Muammar Gheddafi probabilmente è ferito, ma non sappiamo dov’è”, è il ministro degli esteri Franco Frattini a parlare, rompe il silenzio, l’Italia forse sa che fine ha fatto il rais o almeno lo lascia credere senza esagerare. “Noi non abbiamo nessun elemento sull’attuale sorte di Gheddafi. Tendo ad accreditare come credibile la frase del vescovo di Tripoli monsignor Martinelli che ci ha detto che Gheddafi è molto probabilmente fuori da Tripoli e probabilmente anche ferito. Non sappiamo però dove”.
Sono passati dodici giorni senza sapere niente del colonnello libico, interrotti solo da un video poco convincente con Gheddafi in vita a una riunione con i suoi fedelissimi. A pochi minuti dall’annuncio di Frattini però arriva la smentita dalla Libia: “E’ tutto falso”. Qualche ora dopo c’è la precisazione: “Il rais è a Tripoli”.
E’ vivo o morto si sono chiesti per giorni in molti, ma nessuno rispondeva. La Nato, rea di avere bombardato due sabati fa, nella notte del 30 aprile, il bunker del rais, aveva liquidato la questione dicendo che non aveva nessuna certezza su cosa fosse accaduto al rais.
Poi il vescovo Martinelli, vicario di Tripoli, aveva rotto gli indugi e aveva dato la sua chiave di lettura: “Gheddafi non è morto, è vivo. Probabilmente è partito, non è a Tripoli, ma la mia impressione è che sia in Libia. Non ci sono nella società segnali di un lutto”.
Alla fine ci ha pensato Frattini ad ammettere che il rais è solo fuggito, per poi precisare, dalla capitale e non dalla Libia: “Una fuga da Tripoli, ma non dal Paese”. Per Frattini, intervistato dal Corriere.it “un dato è certo: la pressione internazionale ha verosimilmente provocato la decisione da parte di Gheddafi di mettersi al riparo in un luogo più sicuro”.
Dov’è dunque il colonnello? Dove si nasconde? “Noi non lo sappiamo, ma c’è sicuramente un effetto che tutto questo (la pressione internazionale, ndr) sta provocando: la disgregazione all’interno del regime, che è quello che noi auspicavamo”. Poi il ministro ha precisato che ucciderlo “non è possibile perché non lo prevede il mandato della risoluzione 1973 delle Nazioni Unite”.
La risoluzione “non mira a singole persone e non credo che si sarebbe raggiunto l’accordo in seno al Consiglio di sicurezza se avesse previsto l’uccisione” di Gheddafi. Per la fine dei combattimenti, ha aggiunto, “io credo che non manchi molto: la rassicurazione che tutti noi vogliamo è che si possa arrivare in tempi ragionevoli a un governo provvisorio di unità nazionale”.
“Il momento chiave è l’incriminazione, fra poche settimane e presumibilmente entro maggio, di Gheddafi davanti al Tribunale penale internazionale. I margini di manovra per un esilio in questo caso vengono meno perchè quando c’è un ordine di arresto anche gli Stati vicini dovrebbero perseguirlo”.
Ripercorriamo le tappe di questa storia. Siamo al 10 maggio, il 30 aprile è la data dell’ultimo messaggio di Gheddafi: è pronto a una tregua, almeno a parole.
Poi lancia un avvertimento all’ex amico Silvio Berlusconi che invece ha dato il via libera agli aerei italiani per intervenire anche con le bombe: “L’Italia stia attenta”.
Nel cuore della notte le forze alleate puntano al palazzo del colonnello: il figlio, la moglie e tre nipotini del rais Mohammad, Hanibal e Aisha muoiono tutti. Almeno la notizia arriva così, perché in realtà i testimoni hanno raccontato che i loro corpi appena arrivati nella camera ardente erano avvolti in teli bianchi.
Dopo qualche giorno la scomparsa del rais diventa giallo e alla infine l’Italia rompe gli indugi: “Sappiamo qualcosa. E’ ferito”.