ROMA – Napolitano teme voto anticipato, Renzi che lasci a dicembre: calendario riforme. Nell’incontro di ieri pomeriggio al Quirinale si sono confrontate due preoccupazioni speculari ma non coincidenti. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano teme che le fibrillazioni in Forza Italia (dopo il disastro elettorale) e nel Pd dove la minoranza dà battaglia dal jobs act alla legge elettorale, conducano a un’inevitabile fine anticipata della legislatura. Teme, Napolitano, che Renzi e Berlusconi non siano più in grado di controllare i loro gruppi parlamentari.
Matteo Renzi, di contro, teme che la scelta del presidente di lasciare il Quirinale entro fine anno sia irreversibile o comunque una questione di settimane e non di mesi: a quel punto sul percorso delle riforme cosiddette di sistema cadrebbe il macigno dell’elezione del nuovo inquilino del Colle. Il nemico, oltre alle prevedibili resistenze, è il calendario.
Ieri pomeriggio il presidente del Consiglio avrebbe fatto di tutto per rassicurare il Presidente sulla «volta buona». Il 19 dicembre, dopo il varo della legge di stabilità, «porteremo la legge in aula», ma in commissione si lavorerà anche durante la sessione di bilancio visto che si tratta di una legge che non dà luogo a spese.
Renzi punta molto sul capogruppo del Pd Luigi Zanda e sulla presidente di commissione Anna Finocchiaro, ma le resistenze aumentano. Due i nodi ancora aperti sui quali il Ncd e la sinistra del Pd ora insistono: i capolista bloccati e la possibilità dei partiti più piccoli di apparentarsi al secondo turno. (Marco Conti, Il Messaggero)
Renzi ha tentato di persuadere Napolitano che solo l’attuazione delle riforme garantisce il prosieguo della legislatura: un voto adesso, paradossalmente, converrebbe solo a lui, anche con sistema elettorale emendato dai giudici (Consultellum). Ma senza riforme, questo Governo non ha ragion d’essere.
Non è questo l’ obiettivo primario del presidente del Consiglio, il quale lo ha ribadito più di una volta a un preoccupatissimo Napolitano. Il suo traguardo è un altro: mandare a termine lo «storytelling», ossia la narrazione, che ha fatto all’Italia e su cui si gioca la «credibilità»: «È su quello che promettiamo e che poi manteniamo che la gente ci giudicherà e che restituiremo fiducia nella politica e nelle istituzioni».
Ma per raggiungere questo obiettivo sulla riforma elettorale Renzi non può pensare di far a meno di Berlusconi e di un ampio consenso in Parlamento, è stato il ragionamento del presidente della Repubblica. Se così non fosse, il premier deve comunque sapere che il capo dello Stato, a un certo punto si dimetterà, a riforme fatte o non fatte, e quindi il cerino gli rimarrà in mano. E non è un caso, allora, se, intervistato dal Tg1 , il premier ripete che il «patto del Nazareno ha ancora un senso» e che le «regole del gioco si fanno con Berlusconi». (Maria Teresa Meli, Corriere della Sera)