Ognuno dice la sua e questo è sempre un bene. Ognuno offre la sua interpretazione e questa è una fortuna. Molti a sostegno della loro opinione portano anche la loro morale, il loro modo profondo di stare al mondo, e questo risulta interessante, istruttivo, rivelatore. Sotto l’impegnativo titolo “L’immagine del Paese e la dignità delle istituzioni”, si possono leggere in controluce, come si fa quando si osserva una banconota, i valori che l’editorialista Piero Ostellino assegna agli uomini e donne suoi contemporanei. Scrive Ostellino partendo dalla prima pagina del Corriere della Sera: “Una donna che sia consapevole di essere seduta sulla propria fortuna e ne faccia, diciamo così, partecipe chi può concretarla non è automaticamente una prostituta. Il mondo è pieno di ragazze che si concedono al professore per goderne l’indulgenza all’esame o al capo ufficio per fare carriera. Aver trasformato in prostitute le ragazze che frequentavano casa Berlusconi non è stata un’operazione solo giudiziaria, bensì anche una violazione della dignità delle donne la cui sola colpa era quella di aver fatto, eventualmente, uso del proprio corpo”.
Dunque traduciamo, anche se tanto bisogno di tradurre non c’è: “Una donna che ha come capitale di investimento il suo culo (questo e non altro c’è dietro la metafora dello stare seduti sulla propria fortuna) e questo culo consegni ed offra a chi può valorizzare l’investimento, cioè pagarlo (questo e non altro significa il fare partecipe chi può concretarla) non è una puttana. Prosegue il testo tradotto: “Il mondo è pieno di donne che la danno o lo danno al professore e/o capo ufficio. Non sono puttane, ma donne che sanno come va appunto il mondo”. “Additare le ragazze che così campano come puttane è violare la loro dignità di donna”. Che, si deduce, è intrinsecamente localizzata e reperibile là dove “siedono sulla loro fortuna”, cioè sul culo e dintorni.
Ne conseguono alcune domande: quale l’esatta e dignitosa definizione di chi la dà o lo dà “per fare carriera”? Ma questa è domanda astratta. Più in concreto, e se quella che “siede sulla propria fortuna e ne fa partecipe chi può concretarla”, se quella che “si concede al professore o capo ufficio” fosse in ipotesi come si dice di scuola la moglie, la figlia, la sorella, la mamma dell’editorialista, l’editorialista sarebbe altrettanto sereno e realista sul fatto che così va il mondo? Sono tempi fatti così: gratti il comunista contemporaneo, cosa che Ostellino è lontano mille miglia dall’essere, e trovi un fior di conservatore, uno che il tempo lo vorrebbe fermare, uno in lotta quasi religiosa, in guerra quasi santa con la contemporaneità. Gratti il liberale assoluto, cosa che Ostellino fortemente vuol essere e dichiara di essere, e trovi un fior di reazionario. Uno di quelli che, posti di fronte alla questione se a “sedere sulla propria fortuna e a renderne partecipe chi può concretarla”, possa essere la figlia, la sorella, la moglie o la mamma resterebbe assai poco turbato e comunque al sicuro perché, si sa, le “proprie” donne sono esenti dal rischio. Le puttane, se ci sono, sono sempre le donne degli altri, che abitano il giardino altrui: è questa la garanzia. In più c’è l’antica sicurezza: le donne, in fondo, a quello servono e lo sanno anche loro se sono, come si legge nell’articolo sulla loro “dignità”, “consapevoli”. Per cui è offensivo chiamarle puttane quando la danno o lo danno, sono donne e null’altro. E le donne, si sa, questo fanno. Prima pagina del quotidiano più diffuso italiano, del giornale istituzione, nell’anno di disgrazia 2011.