Perché il Pd è cupo e tetro e Vendola è positivo come Berlusconi

Non sono allegre le prospettive che si offrono agli elettori di sinistra, secondo Angelo Panebianco sul Corriere della Sera. La scelta è tra uno partito sconquassato e unito solo dall’odio per Berlusconi, guidato dai burattinai della sinistra giornalistica e delle Procure, e il partito un po’ troppo vetero marxista  o neo comunista di Nichi Vendola.

Per gli italiani che vorrebbero un cambiamento rispetto alla attuale palude e un governo stabile di sinistra moderata, termine meno ipocrita della formula “centro sinistra”, le speranze, se si crede in questa analisi, sono davvero legate a un intervento della Madonna di Medjugorie.

Il futuro non sorride nemmeno alla destra, che si muove dietro la sola bandiera di Silvio Berlusconi, ma almeno da quella parte sono contenti.

Infatti, scrive Panebianco, in caso di elezioni anticipate, lo schieramento di destra sarà guidato di nuovo da Berlusconi in alleanza con Umberto Bossi.

A sinistra, invece, “una volta scartata l’ipotesi, inverosimile e perdente, della «santa alleanza» di tutti gli antiberlusconiani, restano poche opzioni”.

Secondo Panebianco, “uno schema che circola […] punta a mettere assieme terzo polo” e sinistra, con Pier Ferdinando Casini premier, alleato al Partito democratico, senza Di Pietro e con il sostegno esterno dei neocomunisti di Nichi Vendola”.

Per Panebianco, Vendola, “proponendo Rosy Bindi come candidato premier e quindi, implicitamente, rinunciando a dar battaglia per le primarie,  sembra avere offerto (tacitamente) la sua disponibilità”.

Questo schema., per funzionare ha bisogno, fra l’altro, che Vendola non ottenga un exploit elettorale”, altrimenti “sarebbe difficile tenerlo fuori dalla porta”.

Qui parte una analisi impietosa quanto ragionevole e di buon senso della crisi della sinistra: “Qualche settimana fa, il vicesegretario del Pd Enrico Letta ha dichiarato che, a suo giudizio, il «fenomeno Vendola» si sgonfierà. Ma è più probabile che Vendola sia destinato a un forte successo nel suo schieramento”.

Qui Panebianco commette un errore perché ragiona da critico politico e non da elettore. Quella che lui considera un elemento negativo della pagella di Vendola, “la sua prova non certo brillante come amministratore della Puglia” è in realtà un suo punto di forza presso i suoi elettori ed è alla base del suo successo e dell’amore dei pugliesi, soprattutto giovani per lui.

Ma poi Panebianco va avanti liscio. A favore di Vendola, scrive, “concorrono tre ragioni. La prima ha a che fare con la sua personalità. La seconda con le caratteristiche delle culture politiche della sinistra. La terza, infine, con le «circostanze» , le condizioni in cui versa il Partito democratico. Possiamo sorridere delle ardite affabulazioni di Vendola ma non possiamo negare che si tratti di un personaggio non banale, dotato di un suo spessore e che ciò ne spieghi le notevoli capacità mediatiche”.

Ancora: “Vendola parteciperà alla campagna elettorale contando su due carte. Mentre i Democratici parleranno soprattutto di Berlusconi (di come farlo fuori), Vendola parlerà soprattutto di politica. Inoltre, avrà il vantaggio dell’autonomia”.

Qui il giudizio più severo sul Pd: “Gli altri sono eterodiretti, la loro agenda (le cose da dire e da non dire) è di fatto ispirata prevalentemente da centri di potere esterni alla politica partitica (procure, giornali di riferimento)”.

Vendola, invece, può decidere in autonomia la propria agenda. Capacità mediatiche, autonomia e volontà di parlare di politica potrebbero farlo spiccare come una macchia bianca su sfondo nero entro lo schieramento di sinistra. Tanto più in una campagna elettorale che, è certo, emarginerà quasi ogni tema che non riguardi la condotta privata del premier e sarà trasformata, da destra e da sinistra, in un referendum su «Berlusconi o le procure»”.

Vendola vuole dire “da un lato, la poesia, l’affabulazione post-moderna, i discorsi sull’amore, che possono fare presa sui più giovani e, dall’altro, un anticapitalismo aggressivo ma aggiornato ai tempi, mondato (quasi del tutto) di quegli elementi «vetero» che erano ancora presenti nei ragionamenti del pur bravo Fausto Bertinotti. Parlando di «politica» piuttosto che di «etica» (per lo meno, nel senso triviale che questa parola ha assunto qui da noi), Vendola è in grado di lanciare messaggi ottimistici, di speranza, per il futuro. In questo è simile a Berlusconi. Salvo, naturalmente, il fatto che i loro messaggi ottimistici hanno contenuti opposti. In una cultura politica nella quale non è affatto scomparso il ricordo del comunismo, perché un aggiornato messaggio neo-comunista lanciato da uno che sa usare i media non dovrebbe avere successo?”

“Quando Vendola dice, ad esempio, che la sinistra deve strappare alla destra la parola «libertà» e poi dà a quella parola il significato che le dava Marx, perché questo non dovrebbe piacere a certi elettori di sinistra più delle cupe parole d’ordine del giacobinismo giudiziario? Perché, posti di fronte alla scelta fra il Capitale e il Codice Penale, non dovrebbero scegliere il Capitale?”.

Giù pesante: “Naturalmente, un successo di Vendola sarebbe escluso se il Partito democratico fosse in buona salute, se ci fosse in campo una credibile piattaforma di sinistra liberal-riformista. Il che non è: come indica anche l’emarginazione di fatto del leader riformista di maggior spessore che il Partito democratico abbia espresso al Nord, Sergio Chiamparino. Il Partito democratico è un progetto abortito e nemmeno i grossi guai di Berlusconi (o qualche punto percentuale in più del solito suggerito dai sondaggi) bastano a cambiare le cose”.

Sempre più pesante: “È abortito quando ha dichiarato il fallimento della vocazione maggioritaria, quando ha sostituito i discorsi sulle alleanze ai discorsi sui contenuti, quando si è messo a inseguire ogni sorta di massimalismo su per i tetti di Roma, quando non è stato capace di creare un abisso che lo separasse dai giustizialisti, quando, insomma, ha riconosciuto di non avere una proposta forte e autonoma, sostenuta da gente sicura di sé e delle proprie idee, da presentare al Paese”.

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Marco Benedetto