Una presa di posizione da outsider. Una decisione in contrasto con il resto del partito. Un comportamento da dissidente che non è piaciuto ai piani alti. Nel giorno in cui si è votato in Senato il disegno di legge sul “processo breve” (mercoledì 20, ndr) tutto è andato bene per il Pdl, tranne una cosa. Quel tanto che basta per rovinare la giornata a Berlusconi e ai suoi.
Durante le dichiarazioni di voto si alza Enrico Musso, docente universitario di economia applicata, un senatore del Pdl e candidato sindaco a Genova. Prende la parola per dichiarare il dissenso dal suo gruppo. «Stiamo commettendo un errore grave, quello di non ammettere pubblicamente che c’erano due obiettivi, quello della ragionevole durata dei processi e quello che è diventato una sorta di agenda nascosta, la tutela del presidente del Consiglio».
Subito nel partito è il caos. In un primo momento è addirittura il presidente del Senato, Renato Schifani, che tenta di togliergli la parola in Aula.
I primi a inorridire, poi, sono proprio i suoi compagni del Pdl ligure. A partire da Michele Scandroglio, coordinatore regionale del partito, che si esprime chiaramente: «Musso ha fatto il Ponzio Pilato non prendendosi responsabilità e assumendo un atteggiamento che non gli giova».
Attacco duro all’ex candidato sindaco del centrodestra che in passato aveva già preso più volte le distanze dal partito. Scandroglio arriva a mettere in dubbio un appoggio del partito alla candidatura di Musso a sindaco di Genova.
«Musso – continua Scandroglio – gioca a quello che vuole strappare consensi alla sinistra per diventare sindaco di Genova. Se continua così non prenderà i voti dei nostri: c’è chi comincia a chiederci conto dei suoi atteggiamenti».
Altrettanto netto il giudizio di Giorgio Bornacin, altro senatore ligure del centrodestra: «Mi spiace che non abbia votato e soprattutto non abbia compreso i reali contorni di questa legge: c’è una valenza politica che Enrico non ha o ha fatto finta di non afferrare».
Da parte sua Musso resta sul punto: «È assolutamente un problema reale per il Paese il fatto che il presidente del Consiglio non sia adeguatamente tutelato da vicende giudiziarie ed è fuor di dubbio che si debba agire per tutelare l’esecutivo e le istituzioni dalle incursioni giudiziarie – sostiene – Oggi è il problema di Silvio Berlusconi, domani lo potrà essere per altri premier. Avrei preferito due provvedimenti distinti: uno per il legittimo impedimento per garantire chi governa, l’altro per accorciare i tempi sulla giustizia. Così facendo saremmo stati più trasparenti tutelando Berlusconi».