Rai. Ruffini rimosso e poi promosso, ma a metà: proteste e polemiche

Paolo Ruffini

Burrasca in Rai e nel mondo politico per le decisioni prese dal Consiglio di amministrazione della Tv di Stato sulla nuova collocazione di Paolo Ruffini, ex direttore di Rai 3.  

Come previsto, Ruffini diventerà direttore di Rai Educational, ma a scadenza ritardata, a partire da giugno e sarà una Rai Educational molto ridimensionata rispetto all’attuale impero di Giovanni Minoli. 

Minoli lascerà la direzione di Rai Educational a fine maggio, per andare in pensione, ma lo stesso Consiglio di oggi, martedì 27 aprile, lo ha insignito della guida del progetto “Rai per i 150 anni dell’unità d’Italia”, dove Minoli si porterà una ventina di uomini chiave. Alla nuova stuttura, che dipenderà direttamente dal direttore generale, Minoli abbinerà anche il format La storia siamo noi e Rai Dixit, marchio del canale Rai Storia. 

Gelidamente furioso Ruffini, che si dice “sereno”, senza “nessuna ira” ma promette di continuare nella sua causa alla Rai, ululante di indignazione Luigi Zanza, che ha definito «miserabile» la decisione del Consiglio e ha denunciato “la doppiezza con cui la maggioranza del consiglio d’amministrazione della Rai ha trattato Paolo Ruffini” dicendo: ” è indecente”. Cosa più clamorosa, il presidente, Paolo Garimberti, ha trovato il coraggio di prendere posizione e ha votato contro la delibera “per questioni di metodo, perché ‘pacta sunt servanda’, i patti vanno rispettati”. I patti cui si riferisce Garimberti sono probabilmente quelli presi sopra la testa del Consiglio Rai dalle segreterie dei partiti. 

Difficile capire se il tradimento dei patti sia stato perpetrato dal direttore generale della Rai, Masi, con la complicità dei consiglieri di maggioranza o sia il risultato di una prova di forza, sott’acqua, tra l’immarcescibile Minoli e il minoritario Ruffini. Ruffini, figlio di un exministro democristiano e nipote di un cardinale, deve la sua carriera certamente alla indiscutibile capacità professionale ma anche, per quanto riguarda la nomina a direttore di Rai 3, ai giochi interni al Pd, della cui componente ex Margherita e ex Popolari fa parte. Minoli, che in gioventù sposò la figlia di Ettore Bernabei, uno dei padri fondatori della televisione italiana, è altrettanto bravissimo e ha percorso quasi tutta la sua carriera in Rai, con una piccola parentesi a Telepiù. La sua abilità navigatoria tra le secche della politica è dimostrata dal fatto che, dopo essere stato nominato presidente del museo di Rivoli (Torino), non si sa con quali titoli di storia dell’arte, da una giunta di sinistra, appena è arrivato il nuovo presidente leghista, Roberto Cota, lo ha subito confermato con grandi pacche sulle spalle. 

Appare strano che Mauro Masi cambi le carte di un accordo già preso con la segreteria del Pd  di propria iniziativa. Anche se i sentimenti ostili di  Berlusconi verso alcune trasmissioni di Rai 3 sono acrci noti, si possa cambiare qualcosa negli assetti Rai unilateralmente sarebbe una bomba atomica. Il fatto che nel corso della giornata di martedì si siano sentite solo le voci di spiriti liberi come Giulietti e Rognoni e di un ex Margherita come Zanda, oltre all’Idv sempre presente e alla dura posizione di Garimberti, che deve all’ex Margherita Dario Franceschini la propria nomina, mentre nessuno ha parlato dalle alte sfere del partito, meno che mai dall’establishment ex comunista può voler dire il peggio: o che il segretario del Pd Pierluigi Bersani era complice o o che gliela anno fatta sotto il naso e non se ne è accorto o non se la sente di protestare. 

Appare peraltro abbastanza incoerente anche Ruffini: quando accetti la logica dell’indicazione politica, non puoi protestare se ti rimuovono, nell’ambito di quella logica. 

La posizione diRuffini è gelida e lui dice di essere comunque determinato ad andare avanti: «Continuerò come sempre a fare il mio dovere. Questo non vuol dire che rinunci anche ai miei diritti, e a cercare di farli valere in tutte le sedi». La ricollocazione, secondo l’ex direttore di Raitre, però non risolve «né la questione del demansionamento né quella della discriminazione politica». 

 Dice Ruffini: «Ho letto della mia nomina dalle agenzie. Non ne sapevo nulla. E per saperne di più mi sono procurato le delibere approvate oggi. Da quello che c’è scritto si capiscono due cose. La prima è che sarei, non da subito ma a partire da giugno, il nuovo direttore di Rai Educational e che nel frattempo, da Rai Educational usciranno i suoi programmi principali, i suoi spazi di palinsesto principali sia sulle reti generaliste che su Rai Storia, e una ventina di persone ritenute strategiche per il progetto “Rai per i 150 anni dell’unità d’Italia”». La seconda, prosegue il giornalista, «è che non è stato rispettato l’impegno a nominarmi direttore di Rai Digit (cioé dei canali tematici della Rai) previsto nella delibera con cui sono stato rimosso da Rai Tre; e che sono stato nominato invece direttore di una cosa che ancora non esiste (Rai Premium) e che dovrà coordinare due canali (Rai4 e Rai Movie) con modalità operative tutte ancora da definire». Insomma Ruffini lamenta che «in entrambi i casi (Rai Educational e Rai Premium)  non è chiaro il rapporto che dovrei avere con grandi professionisti come Giovanni Minoli e Carlo Freccero». 

 Paolo Garimberti, uno dei tre a votare “no” alla nomina di Ruffini, spiega il suo diniego per questioni di metodo, perché ‘pacta sunt servanda’, i patti vanno rispettati. Il presidente della Rai si è invece astenuto nel voto sulla struttura dei nuovi canali. L’impegno preso con Ruffini, all’atto della sua sostituzione – il 25 novembre – con Antonio Di Bella alla guida di Raitre, era di collaborare con il dg al progetto di Rai Digit, in cui dovevano confluire i canali specializzati dell’offerta digitale. Un impegno poi ribadito il 26 febbraio, quando si è diffusa la notizia della causa intentata contro l’azienda dall’ex direttore di Raitre per chiedere il reintegro. Masi «rispetti gli impegni formalmente presi in consiglio», era stato quel giorno l’auspicio di Garimberti. Tutti gli impegni saranno rispettati, aveva assicurato la direzione generale. 

Da allora, però, si sono susseguiti diversi rinvii – il caso Ruffini è all’ordine del giorno dei lavori del cda dai primi di marzo – è il nodo è rimasto irrisolto fino alla settimana scorsa, quando si è concretizzata una proposta per Ruffini ben diversa da quella originaria (Rai Educational senza “La storia siamo noi” e Rai Premium, cioé il coordinamento tra Rai Movie e Rai 4, canale diretto da Carlo Freccero), figlia dello ‘scorporo’ di Rai Digit.  

Restano fuori la direzione Rai 5, ovvero il canale culturale che la Lega vorrebbe realizzare a Milano e collegare all’Expo 2015, e la direzione Rai Giovani. Garimberti si è invece astenuto sull’organizzazione dei nuovi canali, rendendo dunque premiando il dg per lo sforzo fatto in termini di mediazione, ma insieme sottolineando la nebulosità della nuova organizzazione sul piano dei contenuti, con rischi di conflittualità tra Ruffini e Minoli ma anche tra Ruffini e Freccero.  

Non poteva che essere contento invece il direttore generale della Rai, Mauro Masi, che ha espresso «viva soddisfazione» per il voto all’unanimità da parte del Consiglio con il quale è stata costituita la struttura Rai che seguirà  le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia affidandone la responsabilità a Giovanni Minoli.  

Tuona contro la decisione del cda di viale Mazzini  il portavoce di Articolo 21 e deputato del Gruppo misto Giuseppe Giulietti, secondo il quale «non si è trattato di promozione ma di rimozione imposta dall’esterno». Giulietti, che esprime tutta la sua onestà, la sua lealtà e il suo coraggio, sa bene come vanno le cose in Rai, dove ha lavorato per anni e ne ha anche guidato il sindacato dei giornalisti. Se parla così ha ben capito che si tratta di cosa talmente inaudita da fare pensare al tradimento. 

Giulietti non ha dubbi sui colpevoli: «Col voto di oggi  i suddetti vertici hanno dimostrato di non essere in grado neppure di dimostrare gli impegni solennemente assunti». Giulietti si riferisce alle promesse fatte, «a cominciare proprio dal direttore generale» quando l’ex direttore di Raitre fu rimosso dai vertici Rai. Ricorda  Giulietti che «con solenni dichiarazioni» si voleva far passare la rimozione per una promozione a più «prestigioso incarico» per i positivi risultati acquisiti. 

«Peraltro – sostiene Giulietti – alcuni testi noti delle intercettazioni telefoniche hanno già svelato la ben più triste realtà». Ma allora perché Bersani non dice nulla? Complice e re travicello?.

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