Referendum nucleare: sì o no?

ROMA – La certezza è arrivata: domenica 12 giugno i referendum saranno quattro e si voterà anche per il nucleare. L’ultimo dubbio, a meno di una settimana dal voto, lo ha risolto la Corte Costituzionale: nessuna sorpresa, referendum lecito, basta riscrivere la domanda sulla scheda grigia (quella proprio sul nucleare) e il quesito sarà alle urne insieme ai due sulla gestione ai privati dell’acqua e a quello sul legittimo impedimento.

Per far sì che i referendum siano validi serve un magico passepartout dal nome che sera inventato dal manzoniano avvocato Azzeccagarbugli: il quorum, ovvero che voti almeno il 50% +1 degli  aventi diritto. Impresa che, a chi raccoglie le firme, non riesce dal 1991. Vent’anni dopo, però, è proprio il nucleare che potrebbe rappresentare un traino decisivo per rendere valido il voto.  Il governo che lo sapeva bene le ha provate tutte per impedire il referendum: prima è stata la volta di un decreto omnibus che introduceva una moratoria (cioè una sospensione) sulla costruzione delle centrali nucleari. Argomento che, a detta del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, avrebbe dovuto scongiurare il pericolo voto in attesa che si placasse la paura indotta dall’incidente di Fukushima.

Non è andata così. Si è messa di traverso la Corte di Cassazione che, chiamata in causa dai promotori del referendum non ha fatto una piega: non si vota più sul quesito abrogato per decreto ma sulle norme introdotte con l’omnibus, compreso un generico “piano energetico nazionale” che avrebbe potuto permettere il ritorno dell’opzione nucleare tra qualche anno. Nella sostanza tecnica non si vota formalmente più per dire no alle centrali nucleari ma sul piano politico è tutto inalterato.

Al governo, a quel punto, non è rimasto che ricorrere alla Corte Costituzionale. Anche là, però, è andata male: il via libera definitivo della Corte Costituzionale è arrivato poco dopo le 12 di martedì 7 giugno. Si vota, quindi, e si fa con un piccolo capovolgimento logico giuridico: per dire no al nucleare bisogna votare sì e per chiedere che l’atomo continui bisogna votare no.

Il voto è tutto italiano ma la questione è mondiale. Da Chernobyl a Fukushima l’atomo ha diviso l’opinione pubblica internazionale. I sostenitori del sì e del no partono da assunti entrambi veri: il nucleare è indispensabile, dice chi vuole l’energia prodotta dall’atomo, il nucleare è troppo pericoloso replica chi non lo vuole.

Energia e ambiente: il caso francese. La questione, in realtà, è molto più complessa di quanto un semplice “sì” o “no” possa far sembrare. Per averne un esempio chiaro prendiamo il caso francese. Là le centrali nucleari ci sono e sono ben 59. Come numero di impianti è il secondo Paese al mondo dopo gli Usa che schierano, in un territorio molto più esteso, ben 104 centrali.

Eppure la Francia importa energia dalla Germania per circa un 20% del suo fabbisogno. A scriverlo in maniera dettagliata è il Wall Street Journal che va subito al cuore della questione: la Francia compra ma la Germania ha già deciso che il nucleare è un’esperienza da chiudere. I tedeschi hanno già fissato la data dello spegnimento, il 2022.  Un problema c’è: quando la Germania chiuderà gli impianti non avrà più surplus da distribuire e la Francia rischia di ritrovarsi a secco. Situazione che preoccupa da subito il ministro locale dell’Energia Eric Besson: “Non dobbiamo essere allarmisti ma occorre vigilare”.

Anche perché i problemi cruciali non vengono mai da soli. La Francia, infatti, in questa primavera  è alle prese con una siccità da record: temperature quasi 3 gradi al di sopra delle medie stagionali dal 1971 a oggi e crollo delle piogge, 45% in meno della media. E il nucleare, come sa chiunque si sia un minimo addentrato nelle mappe dei possibili siti per le centrali italiane, ha bisogno di tanta acqua. L’analisi del Wall Street Journal non è delle più rassicuranti: meno acqua significa meno raccolti e prezzi più alti ma significa anche livelli dei fiumi più bassi con maggiore difficoltà nel pompaggio di acqua dentro i reattori nucleari. Non è finita: l’acqua più calda, sempre a causa del clima, è meno efficace nel raffreddare i reattori e la produzione di energia cala.

Nucleare sì o no? Il referendum non è banale: si fronteggiano un problema oggettivo, quello dell’approvvigionamento e dell’autosufficienza energetica, e una paura oggettiva, quella delle catastrofi. Nel 1986, complice la nube di Chernobyl, gli italiani decisero che il nucleare non faceva per loro. Chiuse le centrali e la ricerca, in un colpo solo e nelle intenzioni di chi votò per sempre.

I sostenitori del no, quelli che le centrali le vorrebbero, partono dai numeri, quelli che dicono che l’Italia compra gran parte della sua energia dall’estero, compresa la tanto odiata “nucleare” fatta in Francia o Slovenia. Ci sono le energie alternative, è vero. Però non bastano. Soprattutto, è un altro tra gli argomenti più utilizzati, c’è il sostanziale “isolamento” italiano nella comunità internazionale. Le grandi economie del mondo, dagli Usa al Giappone, passando per le più vicine Francia e Germania, il nucleare lo hanno usato. Almeno fino a Fukushima, che sembra aver fatto cambiare idea a tedeschi e giapponesi. La paura, però, prima o poi passa mentre la questione energetica resta.

Difficile trovare, anche in rete, persone e comitati che si espongano direttamente per il no. Il governo ha formalmente lasciato libertà di voto. Curioso visto che la legge che si vuole abrogare via referendum è stata approvata proprio dall’esecutivo. Visti gli esiti del referendum che si è tenuto in Sardegna durante le amministrative (97% dei voti contro il nucleare sull’isola), è però evidente che il governo voglia evitare di legare il suo nome a quella che appare una sconfitta inevitabile.

I sostenitori del sì, quelli che le centrali le vogliono chiudere, partono anche loro dai numeri. Invece che di crisi energetica, però, i loro numeri sono quelli dei disastri nucleari: i morti di Chernobyl e quelli di Fukushima. Gli anni, o forse i secoli, che serviranno in quei posti prima che tutto torni  come prima. Poi ci sono le scorie da smaltire: scorie che le centrali non possono far a meno di produrre, che non si possono bruciare e che nessuno vuole tenere. Poi c’è quella sensazione di partire troppo tardi per una cosa essenzialmente inutile. Da qui a 20 anni, è la teoria di chi vuole cancellare il nucleare, l’investimento sulle energie alternative può dare risultati analoghi con impatto ambientale e rischi nettamente inferiori.

Compatte per il sì sono schierate le opposizioni di sinistra dal Pd a Sel, passando per l’Idv di Antonio Di Pietro. Il Terzo Polo, invece, ha optato per la libertà di voto. Contro il nucleare sono in campo anche tante associazioni ambientaliste e numerosi personaggi della cultura e dello spettacolo. Per il sì, seppure con riserva, si è espressa anche l’astrofisica Margherita Hack.

Centrali e ricerca. Nucleare, però, vuol dire due cose: centrali e ricerca. In Italia i due aspetti sono sempre andati a braccetto. E’ la filosofia dell’investire solo in caso di ritorno più o meno immediato: si finanziano studi sul nucleare solo se si possono fare le centrali. Votare sì, quindi, affosserebbe anche il lavoro dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, quella diretta da Umberto Veronesi. Eppure ricerca e centrali sono due cose ben diverse. L’astrofisica Margherita Hack, intervenendo nel corso del programma L’Infedele lunedì 6 giugno, l’ha spiegato in modo chiaro. “Voterò sì a malincuore” ha esordito, “sono contraria a questo nucleare ma non voglio che si fermi la ricerca”.

Quella della Hack è la posizione della splendida utopia della conoscenza: ora il nucleare, specie in Italia dove i costruttori hanno spesso mostrato di non rispettare le più banali  regole della sicurezza, è pericoloso e inaffidabile. Partiremmo con un ritardo di 20 anni per mettere in moto, tra altre 20, tecnologie che sono già obsolete oggi. Altro conto è la ricerca: servirebbero soldi (tanti) per permettere agli scienziato di lavorare sul futuro, su un nucleare possibile, più pulito e meno pericoloso. I progetti, all’estero, ci sono già. Ma può uno Stato indebitato, quello pronto a vendersi la gestione delle risorse idriche (altri due referendum) ai privati perché non ha un euro da investire per sistemare gli acquedotti colabrodo, pensare di finanziare una ricerca che potrebbe non portare mai frutti? La risposta della scienza è che dovrebbe, quella della politica e dell’economia è che non si può fare. Resta quindi il bivio: nucleare così così o nucleare no grazie. Lunedì pomeriggio l’Italia avrà una nuova risposta.

Published by
Emiliano Condò