Una Regione in più – sette a sei – rispetto al centrodestra. Ma la vittoria di misura del centrosinistra non fa sorridere il Partito Democratico innanzitutto perché, 5 anni fa, le regioni “rosse” erano 11 mentre oggi i democratici ne cedono quattro agli avversari. E non quattro qualsiasi: il Pd perde nettamente in Campania e Calabria e cede, al fotofinish, anche in Piemonte e Lazio.
Dopo la notte Bersani individua e punta il dito contro Beppe Grillo, indicato come uno dei fattori decisivi per la sconfitta del Pd: “Al Nord, e soprattutto in Piemonte – spiega il leader democratico – hanno tolto voti un po’ a noi, un po’ a Di Pietro. Non a caso in Toscana, dove Grillo non c’era, Di Pietro è andato molto bene”. Bersani aggiunge anche: «Non intendo cantare vittoria per l’esito delle elezioni ma neanche accettare una descrizione dei fatti di sconfitta del centrosinistra».
Il segretario dei democratici, poi, analizza il risultato elettorale di Bossi & Co: “Il voto alla Lega è un voto contro Berlusconi”, spiega. Al Nord, gli elettori del centrodestra “hanno un bello sfogatoio – dice il leader democratico – credono di votare contro Berlusconi e votano Bossi. Probabilmente lo fanno perché pensano che a un certo punto la Lega si smarcherà. Ma mi sembra chiaro che quello è un voto contro il presidente del Consiglio”.
Di tutto il nord, però, al centrosinistra resta solo la Liguria di Claudio Burlando mentre il resto della zona si tinge sempre più di verde Lega. Non solo: l’asse Pdl Lega si afferma in tutte le regioni più popolose e da oggi può dire di governare la maggioranza degli italiani anche a livello amministrativo.
Sono soprattutto le sconfitte di Mercedes Bresso ed Emma Bonino a far masticare amaro il segretario Pier Luigi Bersani. In Piemonte ha fallito l’alleanza con l’Udc di Casini e la Bresso ha perso per un’incollatura, meno di mezzo punto. Se si scorrono i risultati di lista, poi, balza subito agli occhi il 4% del Movimento a Cinque Stelle di Beppe Grillo: un dato che non può non far nascere pensieri cupi a sinistra. Con quattro punti il Piemonte sarebbe ancora del Pd e la sinistra avrebbe ancora tenuto una regione nel triangolo del nord. Ma quando sono state fatte le primarie i vertici del Pd hanno deciso che Grillo non poteva partecipare. E questo è il risultato che irrita tanto Bersani.
Nel Lazio, invece, la sconfitta è altrettanto amara ma ha cause diverse. Qui l’Udc correva con il Pdl ma i democratici pagano in parte l’effetto Marrazzo ed in parte il ritardo grave con cui hanno scelto la candidatura (esterna al partito) di Emma Bonino. Mentre la Polverini tappezzava Roma di manifesti i vertici del partito erano ancora alla ricerca di un candidato. A differenza di quanto accaduto alle ultime amministrative, le Comunali che hanno consegnato la fascia di sindaco a Gianni Alemanno, la sinistra ha vinto a Roma ma non è bastato. La Polverini ha costruito la sua vittoria in provincia, soprattutto a Latina e Frosinone, ed è bastato.
Sul piano dei voti il Pd incassa una minima ripresa di consensi rispetto alle Europee dell’anno scorso, con una crescita dal 26,1 al 26,5 ma il dato non basta a consolare Bersani secondo cui il partito ora deve riflettere per “capire perché il nostro messaggio non è arrivato del tutto”. Il segretario parla di “riscossa” e di “inversione di tendenza” ma, di certo, nel Pd l’umore prevalente non è quello della festa. Anche perchè si potrebbe riaprire la frattura con l’ex segretario Dario Franceschini che ha già puntato il dito contro la scelta della candidatura di Emma Bonino, giudicata troppo distante dal mondo cattolico. Lo stesso Massimo D’Alema analizza i dati senza entusiasmo: “Astensione, boom leghista e i voti alle liste di Grillo: c’è qualcosa che non va”. Cosa, gli elettori di sinistra se lo chiedono da anni.
Beppe Fioroni, a caldo, tenta di dare del Partito un’immagine più positiva ma non ci riesce fino in fondo: “L’atmosfera è di unità, ci siamo ritrovati tutti quanti a seguire passo passo l’andamento del voto, da D’Alema e a Veltroni ma certo un po’ di problemi da affrontare e risolvere li abbiamo di fronte”. Di certo Bersani teme il clima da “resa dei conti”. Resta da sciogliere il nodo alleanze. In Liguria si è vinto con l’intesa allargata che comprendeva Udc e comunisti. In Piemonte si è perso nonostante l’Udc perchè i grillini, integrati in Liguria, correvano per conto loro. In Puglia, si è vinto senza l’Udc ma è stato decisivo l’effetto Vendola. Nel Lazio si è perso e forse con l’Udc sarebbe finita diversamente.
Insomma la formula miracolosa non c’è. Al Pd serve, prima un progetto politico forte e poi un sistema di alleanze solido e il più possibile uniforme nel Paese. Anche perché sapere se un partito sia alleato o avversario in tutto il Paese chiarirebbe le idee prima di tutto agli elettori. Da qui al 2013 il tempo c’è, ma il lavoro da fare è davvero tanto.