ROMA – Ci sono due Renzi. Il Renzi Uno, quello che si è preso il partito e il governo, che ha portato il Pd al 41%, che ha fatto le riforme con Forza Italia, che ha deciso. E il Renzi Due, quello che ha fatto un passo indietro sui candidati alle regionali, che passa tempo a trovare la mediazione con i Fassina, che meno decide per evitare commenti in stile “ducetto” e “democratura”. E a dire che i Renzi sono due è lo stesso Renzi in un lungo pezzo firmato da Massimo Gramellini de La Stampa. Per analizzare il voto regionale e comunale, concluso con una sostanziale sconfitta del Pd, il premier si divide in due e boccia la sua seconda versione.
“Queste elezioni dicono con chiarezza che con il Renzi 2 non si vince. Devo tornare a fare il Renzi 1. Infischiarmene dei D’Attorre e dei Fassina e riprendere in mano il partito”
Renzi Uno è il rottamatore, l’innovatore, spiega Gramellini. Renzi Due è l’istituzionale. Che non funziona. E allora il premier almeno a parole torna rottamatore e vuole mandare in pensione lo strumento che è in qualche modo fondativo del Pd, le primarie. Quelle stesse primarie che dopo un primo tentativo andato a vuoto gli hanno consentito di prendersi il Pd. Ma che ora non vanno più bene perché quando ci sono le primarie vince quasi sempre il candidato più di sinistra mentre le elezioni “vere” si vincono occupando il centro:
«Una cosa è certa: le primarie sono in crisi. Dipendesse da me, la loro stagione sarebbe finita (…) Questo è un paese moderato, vince chi occupa il centro. Con personalità. Perché se invece degli originali corrono le copie, allora non funziona. In Liguria la Paita non ha perso perché il candidato di Civati le ha tolto dei voti che probabilmente non sarebbero andati comunque a lei. Ha perso perché nell’ultima settimana il 5 per cento degli elettori di centro si è spostato verso Toti».
Sulle primarie spiega Gramellini
Nelle speranze di Renzi 1 (ma forse anche 2) lo strumento che lo ha lanciato nel firmamento della politica locale e poi nazionale doveva servire a selezionare una nuova classe dirigente in grado di intercettare l’elettorato in uscita dal berlusconismo. Non è andata così. «Casson, Paita, De Luca, Emiliano, Moretti. Io in quelle scelte non ho messo bocca.» E hai fatto male, sembra suggerirgli all’orecchio Renzi 1.
Qualcosa del Renzi Due il premier lo salva:
«Al governo abbiamo fatto cose tecnicamente straordinarie: lavoro, giustizia, legge elettorale, divorzio breve, diritti civili. Anche l’immagine all’esterno è molto migliorata. Non siamo più i malati di Europa e durante l’ultimo G7 gli elogi pubblici di Obama alle nostre riforme sono stati quasi imbarazzanti. E basterebbe dare uno sguardo alle pratiche che abbiamo ereditato per capire che non è affatto vero che Letta era più competente di me, come ha scritto qualcuno (il sottoscritto, ndr)»
Il veleno è nella coda. Renzi analizza l’esito del voto. E ricorda che l’anno prossimo si vota in altre città. Nell’elenco delle città alle urne ne compare una a sorpresa, Roma:
«Non ho messo bocca perché pensavo che astenermi fosse un presupposto per stare tutti insieme. E poi ci siamo dimenticati cosa scrivevano di me? L’arroganza al potere, la democratura… Ah, ma adesso basta, si cambia. Anche perché tra un anno si vota nelle grandi città. Torino, Milano, Bologna, Napoli, forse Roma.» Roma? «Se torna Renzi 1, fossi in Marino non starei tranquillo.» Renzi 1 diceva «sereno» ma insomma, ci siamo capiti.