Libero: “I partiti fanno soldi con le tasse, no ai rimborsi elettorali”

ROMA – Il quotidiano “Libero” continua la sua battaglia contro i rimborsi elettorali ai partiti e per mano del suo direttore Maurizio Belpietro attacca la politicca che “in barba al referendum si è ridata il finanziamento pubblico: 300 milioni l’anno che usano per i loro affari”.

Il riferimento è a un mini-scandalo che ha coinvolto la Lega Nord e ai soldi pubblici che sarebbero finiti in investimenti in Tanzania. Il giornale chiede dunque l’intervento del premier Mario Monti.  “Sono trascorsi più di vent’anni da quando un referendum promosso dai radicali abrogò la legge voluta da Flaminio Piccoli per finanziare i partiti. La norma, introdotta nel 1974, era stata sin dal principio impopolare, ma una prima consultazione nel 1978 non raccolse il numero di voti necessario a far cancellare il sistema. Nel 1993, in piena Tangentopoli, riproposto il quesito, a dire si all’abolizione del finanziamento pubblico, cioè a soldi dei contribuenti concessi senza controllo e trasparenza, fu invece il novanta per cento degli italiani. Una percentuale quasi bulgara, che non stupisce. Uno degli argomenti usati per difendere il meccanismo che donava miliardi ai partiti era la necessità di evitare che gli uomini politici si facessero corrompere per sostenere la propria organizzazione. Mani pulite però svelò che, nonostante il denaro concesso da parte dello Stato, i partiti rubavano senza ritegno. Di qui l’abolizione della legge che aveva generosamente elargito nel corso degli anni Settanta e Ottanta quattrini a un’intera classe politica.Ma del parere degli elettori il Parlamento se ne infischiò presto. Appena un anno dopo il referendum, con il consenso di tutti, Camera e Senato votarono un sistema di rimborsi elettorali che avrebbe dovuto consentire a chi non è ricco di poter comunque partecipare alla vita politica, affrontando le sfide della campagna elettorale”, ricostruisce Belpietro.

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