A quella convocazione l’ex titolare del ministero dello Sviluppo economico, dove ora regna la sede vacante più lunga della storia repubblicana, aveva ovviamente risposto fulmineamente. Ma il suo passaggio a Roma, questa volta era stato rapido, troppo rapido. “Quando arrivo a Roma non vedo l’ora di tornarmene a casa a Imperia”, aveva confessato agli amici, modificando l’immagine che aveva fornito di se stesso sull’asse di Roma in questi anni di potere sempre più consolidato.
Certo la situazione non è semplice, messo come è messo ora, Scajola non sembra avere molto fiato, mentre per prendere in mano un partito in crisi e portarlo a un livello di efficienza che trovi l’approvazione di un capo maniacalmente esigente come Berlusconi, di fiato ce ne vuole tanto. Piuttosto Scajola sembra avere parecchio piombo attaccato ai garretti.
Se vuole tornare agli antichi fasti, per prima cosa Scajola deve trovare una spiegazione convincente, credibile, che stia in piedi, all’affaire dell’appartamento di Roma che lui ha detto di non sapere sia stato pagato in parte da altri. Di fronte a un poeta della bugia come Berlusconi e anche di fronte alla imperturbabile serenità di Fini, Scajola ne è uscito a pezzi, prima ancora che per la sostanza della malafatta per l’infantile balbettante smarrimento.
Che Berlusconi gli abbia detto “ho bisogno di te” a Imperia lo danno tutti per scontato: cosa gli abbia detto, accompagnandolo alla porta, a nessuno viene in mente neppure di immaginarlo. Eppure quella battuta, buttata là, al momento del commiato, bisogna invece provare a intuirla, perché lì c’è la chiave per interpretare quel che è successo dopo. Si potrebbe definire l’operazione bucato.
Riavvolgiamo il film, fino alla scena del ritorno a Imperia, a quella specie di sospiro: “Appena arrivo a Roma, son già lì che non vedo l’ora di tornarmene a Imperia”.
La scena successiva non può che essere girata sulle banchine del porto di Oneglia, dove i maligni avevano obiettato: “Lo credo che scappa da Roma: non ha più nemmeno una casa.” Ecco, la casa, il perno di tutto.
La battuta nel dolciastro dialetto del Ponente Ligure rimbalzava da una telefonata all’altra: in quei giorni Scajola aveva ritenuto opportuno annunciare in esclusiva sul “Corriere della Sera” che stava vendendo la casa dello scandalo con vista Colosseo, il famoso mezzanino di via Fagutale, alle origine dei suoi guai. Mica uno spossessamento da poco, se l’ex ministro aveva precisato l’intenzione di vendere quella casa: “Mi riprendo il mio prezzo di 600 mila euro e la differenza di quei 900 mila aggiunti a mia insaputa so già a quali enti di beneficenza versarla”.
Insomma l’ex ministro, se voleva ricucire i brandelli della vela strappata della sua immagine per riprendere la rotta verso il vertice del Pdl a Roma, non poteva che tornare a mettere il dito nella piaga del suo scandalo, quello che lo aveva strappato dal governo e congelato alla politica nazionale e locale per tutta l’estate. Tornava su quella famosa e sconcertante ammissione che lo ha fatto bollare per tutta l’estate con la definizione “l’uomo che non sapeva”, nella lunga trasmissione di Bruno Vespa, nella sera delle dimissioni.