Scajola chiamato da Berlusconi al vertice del Pdl, cerca una nuova spiegazione per i soldi che non sapeva

Claudio Scajola

Una brevissima apparizione alla manifestazione più patinata che la sua Imperia manda in onda, non a caso da lui inventata: le vele d’epoca, sfilata delle più belle barche a vela mai viste e costruite, nel porto degli scandali di Imperia Porto Maurizio. Una assenza silenziosa ma sibilante dal Cinquantenario dell’Autostrada dei Fiori, la Savona -Ventimiglia stracelebrata da vip e grandi imprenditori, nel grande stabilimento oleario di Imperia Oneglia dell’industriale Carli, uno degli industriali a lui più vicini.

Claudio Scajola usa ancora il contagocce per misurare la sua rentreè sulla scena pubblica a cinque mesi dallo scandalo che lo ha strappato dal ruolo di ministro in modo tanto drammatico e dalla posizione di protagonista della vita politica italiana ed anche imperiese e ligure dove è in atto un finimondo, tra scandali e rivoluzioni nei partiti . Chiuso nella sua villa di Oneglia, sulle alture dolci di ulivi di Diano Calderina Scajola fa un po’ il gioco di tiramolla, preparando un rientro inevitabile ma molto complicato.

Silvio Berlusconi lo ha convocato nella prima settimana di settembre a palazzo Grazioli con una mossa perentoria: “Molla tutto e vieni qua che ho bisogno!”, ha intimato di fronte allo scatafascio della politica nazionale e, soprattutto, di fronte alla necessità di riorganizzare il partito che la diaspora finiana mette in crisi proprio nella organizzazione di base, arte e artigianato in cui Scajola è maestro. E’ stato lui, l’ uomo di Imperia, a metterglielo in piedi dopo il 1996 e a prepararlo per la grande vittoria alle elezioni regionali del 2000.

A quella convocazione l’ex titolare del ministero dello Sviluppo economico, dove ora regna la sede vacante più lunga della storia repubblicana, aveva ovviamente risposto fulmineamente. Ma il suo passaggio a Roma, questa volta era stato rapido, troppo rapido. “Quando arrivo a Roma non vedo l’ora di tornarmene a casa a Imperia”, aveva confessato agli amici, modificando l’immagine che aveva fornito di se stesso sull’asse di Roma in questi anni di potere sempre più consolidato.

Certo la situazione non è semplice, messo come è messo ora, Scajola non sembra avere molto fiato, mentre per prendere in mano un partito in crisi e portarlo a un livello di efficienza che trovi l’approvazione di un capo maniacalmente esigente come Berlusconi, di fiato ce ne vuole tanto. Piuttosto Scajola sembra avere parecchio piombo attaccato ai garretti.

Se vuole tornare agli antichi fasti, per prima cosa Scajola deve trovare una spiegazione convincente, credibile, che stia in piedi, all’affaire dell’appartamento di Roma che lui ha detto di non sapere sia stato pagato in parte da altri. Di fronte a un poeta della bugia come Berlusconi e anche di fronte alla imperturbabile serenità di Fini, Scajola ne è uscito a pezzi, prima ancora che per la sostanza della malafatta per l’infantile balbettante smarrimento.

Che Berlusconi gli abbia detto “ho bisogno di te” a Imperia lo danno tutti per scontato: cosa gli abbia detto, accompagnandolo alla porta, a nessuno viene in mente neppure di immaginarlo. Eppure quella battuta, buttata là, al momento del commiato, bisogna invece provare a intuirla, perché lì c’è la chiave per interpretare quel che è successo dopo. Si potrebbe definire l’operazione bucato.

Riavvolgiamo il film, fino alla scena del ritorno a Imperia, a quella specie di sospiro: “Appena arrivo a Roma, son già lì che non vedo l’ora di tornarmene a Imperia”.

La scena successiva non può che essere girata sulle banchine del porto di Oneglia, dove i maligni avevano obiettato: “Lo credo che scappa da Roma: non ha più nemmeno una casa.” Ecco, la casa, il perno di tutto.

La battuta nel dolciastro dialetto del Ponente Ligure rimbalzava da una telefonata all’altra: in quei giorni Scajola aveva ritenuto opportuno annunciare in esclusiva sul “Corriere della Sera” che stava vendendo la casa dello scandalo con vista Colosseo, il famoso mezzanino di via Fagutale, alle origine dei suoi guai. Mica uno spossessamento da poco, se l’ex ministro aveva precisato l’intenzione di vendere quella casa: “Mi riprendo il mio prezzo di 600 mila euro e la differenza di quei 900 mila aggiunti a mia insaputa so già a quali enti di beneficenza versarla”.

Insomma l’ex ministro, se voleva ricucire i brandelli della vela strappata della sua immagine per riprendere la rotta verso il vertice del Pdl a Roma, non poteva che tornare a mettere il dito nella piaga del suo scandalo, quello che lo aveva strappato dal governo e congelato alla politica nazionale e locale per tutta l’estate. Tornava su quella famosa e sconcertante ammissione che lo ha fatto bollare per tutta l’estate con la definizione “l’uomo che non sapeva”, nella lunga trasmissione di Bruno Vespa, nella sera delle dimissioni.

“Lo so, ho fatto la figura del deficiente” spiega ora, in un settembre un po’ più dolce di quel maggio rovente di polemiche e di messaggi trasversali tra Imperia e Roma, dove il suo caso e quello della cricca Balducci, Anemone, Zampolini e la storia degli 80 assegni, faceva girare la testa a tutto il mondo politico. Ma come? un personaggio avveduto come Scajola, uno prudente, che misura ogni passo, che si consiglia e approfondisce fino alla minuzia, farsi fregare a quel modo?

Oggi Scajola, tornato a Imperia, insiste solo su uno di quei tasti della notte da Vespa: “Non ho ricevuto nessun avviso di garanzia, i magistrati non mi hanno convocato, non mi accusano di riciclaggio per quei soldi girati via e sono passati quattro mesi.” Gli ribattono che le indagine della abile Procura di Perugia non sono affatto concluse ed anzi, ogni tanto, qualcuno scrive che la sua posizione si aggrava e che ben presto gli contesteranno qualcosa. Da queste voci nasce il tiramolla tra Roma e Imperia (“Mica potevo esimermi da andare a Roma, quando Berlusconi mi ha convocato”), ma nasce anche una prudenza ulteriore nelle comparsate pubbliche nel circondario di Imperia-Sanremo, nella sua Liguria, dove il Pdl si sta sfarinando, tra dimissioni e polemiche che squassano i neofiniani e i fedelissimi di u ministru, che osserva tutto dalla sua dolce collina e non profferisce verbo sull’indegno spettacolo ligure.

Sulle calate del porto-monstre, ora pieno di vele antiche e ieri di polemiche che sfiorano anche il costruttore romano Francesco Caltagirone Bellavista, costruttore delle banchine in società con la sua fidanzata Beatrice Cozzi Parodi, una giovane e bella vedova, “protetta” da Scajola, su quei moli girano altre battute e sibilano diversi sussurri per quello che nel suo giardino di ulivi, oltre la garitta delle guardie del corpo, Scajola sta preparando.

“Sembra Sherlok Holmes – spiano amici e parenti – indaga sul suo caso e sta preparando un memoriale per dimostrare il grande inghippo in cui l’hanno cacciato. Archivia, seleziona, collega….Chissà dove vuole arrivare?”. Chissà. Forse la chiave è proprio nelle parole di commiato di Berlusconi, l’altro giorno a palazzo Grazioli.

Poco trapela: l’ex ministro, noto per la sua pervicacia nel voler approfondire quel che non convince, figuriamoci,ma come ha potuto non vedere la macroscopica trappola che gli si spalancava sotto i piedi? Qualcosa però sbuca tra quegli ulivi. “Hanno riciclato alle mie spalle denaro sporco” sarebbe la conclusione di una parte del suo lavoro da Sherlok Holmes. “Più ci penso, più è così – racconta Scajola ai suoi più vicini. -Lo hanno fatto con me, perchè pensavano che non sarei stato controllato. “

E Scajola continua a scrivere il suo maxidossier, che parte proprio dalla cifra colossale pagata per quella casa, che lui spergiura di aver fatto valutare minuziosamente prima e dopo l’affaire esploso. Sopratutto dopo, quando ha chiesto perizie su tutti gli appartamenti zona Colosseo, scoprendo che il prezzo medio non era mai superiore ai 750 mila euro, altro che il milione e seicento, alla fine pagato per il suo mezzanino dello scandalo.

La conclusione che Scajola ha fatto trapelare, dopo avere spulciato atti notarili e perizie di immobiliaristi è amara: o quei soldi non valevano niente per la cricca, che poteva permettersi di gettarli in attesa di chissà che, magari di qualcosa che i Pm di Perugia stanno ancora cercando, come contropartita al loro largheggiare, oppure riciclaggio.

Ecco il tarlo che rode il potente berlusconiano, in ambasce per la seconda volta, da quando è salito nel governo a fianco del Cavaliere e che lo fa stare sul cancello della villa di Diano Calderina. Con la valigia pronta per correre ad aiutare Berlusconi, ma anche con la voglia di chiarire fino in fondo la trappola.

A un cronista de “Il Secolo XIX” ha confessato che quando è scoppiato lo scandalo ha sentito “la morte dentro”, come l’ombra di qualcuno che lo aveva pugnalato alle spalle. La stessa frase l’aveva usata otto anni fa, nello stesso giardino, quando era esploso lo scandalo Biagi, per quella frase, messagli in bocca da due giornali “ Il Sole 24 ore” e “ Il Corriere della Sera”, “Biagi, un rompicoglioni che voleva solo consulenze.” Una frase non sua, ma detta da un altro ministro di quel secondo Governo Berlusconi, di cui lui faceva parte al Ministero dell’Interno.

Stessa frase, stessa scena, stesso giardino, stesso finale, con il ritorno a Roma e una nuova, magari più prudente investitura nel Pdl della diaspora, dove il Capo ha bisogno di tutti, anche di chi cade una, due, tre volte, ma poi si rialza sempre. Come una versione di casa, che sta all’originale come il paté di olive imperiesi sta al paté di fegato d’oca francese, di quel Napoleone, al quale Scajola, secondo i suoi critici più caustici, assomiglia, per la statura, per il piglio, per quei geni mediterranei così ben fatti fruttare nel gioco del potere. La Corsica non è proprio la’ davanti a Imperia, un braccio di mare che in certi giorni di luce si vede dietro l’angolo: tre volte sulla polvere tre volte sull’altare…..?

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fmanzitti