Tre volte sulla polvere, tre volte sull’altar….Questa volta per Claudio Scajola, onorevole Pdl, disarcionato nel maggio scorso dal suo ministero dello Sviluppo economico, per la terza volta nella sua vita da un grande ruolo pubblico, neppure Alessandro Manzoni basta più. Stava per risalire in sella per la quarta volta, dopo un’estate di tormenti e di preparazione di rivincite di fronte all’inchiesta di Perugia sulla cricca che gli avrebbe servito sul piatto d’argento di uno studio notarile a Roma una casa vista Colosseo, con lo sconto a suo dire per lui inconsapevole di 900 mila euro. Indagine a Perugia contro l’ex ministro, praticamente sepolta in quella estate rovente a Imperia e incandescente a Roma, con lo sfarinamento della Pdl, di cui lo Scajola era stato uno dei padri – costruttori.
Invece l’incriminazione da parte della procura della Repubblica di Imperia per presunte scorrettezze e scambi di favori negati alla costruzione del porto di Imperia rischia non solo di fare morire sul nascere le ambizioni di rivincita del gauleiter imperiese ma anche di dare al moncone di partitorimasto a Berlusconi un duro colpo alla vigilia di una tornata elettorale che sarà dilaniante: le elezioni, e Berlù lo sa bene, si vincono sì col carisma, ma anche con l’organizzazione, con i partiti trasformati in macchine macina voti.
“Di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno “, continuava il Manzoni, descrivendo, con la sua mitica rapiditàdi ideazione e esecuzione anche le risalite e le discese di Napoleone, un vero prototipo che a Scajola si può riferire per la statura, per i natali, il grande generale in Corsica e Scajola nella dirimpettaia Imperia Oneglia, che certe mattine di maestrale o tramontana la Corsica da casa Scajola quasi la tocchi con un dito, sporgendoti dalla colline di ulivi. “Scoppiò da Scilla al Tanai, da l’uno a l’altro mar…..”
L’altro mar, sempre in tempesta per Scajola è il suo, quello sotto casa dove è stato costruito il porto mega di Imperia Porto Maurizio, nel quale la quarta inchiesta, il fulmine o il lampo, in questo caso più di biblica che di di manzoniana definizione, si scaglia proprio quando mancava solo un passo tra Scilla e il Tanai per riemergere con tutto il busto, mica solo con le asole del doppiopetto di ordinanza, sulla scena della ribollente politica romana, berlusconiana, antifiniana.
Dopo avere annunciato con un certo vigore, seguito a mesi di lunghi silenzi e di tignose indagini alla “Sherlock Holmes”, nel settembre scorso, che c’era la prova della trappola in cui la cricca lo aveva precipitato, Claudio Scajola era già bello e pronto per la rentree vera, quella che gli avrebbe consentito di saltare su un nuovo incarico, magari non splendente come quelli ministeriali, ma essenziale per il suo cavalier Berlusconi, deciso a ricostruire il partito, in previsione della battaglia parlamentare e della campagna elettorale. Chi meglio di lui, già scelto nel 1996 da Berlusconi, proprio come massimo esperto di costruzione della macchina partito, indicato alla cerchia stretta dei Letta, Confalonieri, Dell’Utri, Doris, Galliani, Pisanu (perchè Pisanu allora stava là), “come il mio amico Claudio, lui si che se ne intende di partiti, di regolamenti”.
Lui sì che poteva trasformare il partito di plastica del 1994 in partito vero, capace di far piantare le famose bandierine azzurre da Emilio Fede nella notte del grande successo regionale nell’estate del 2000.
E cosa ti succede quando Scajola, duro come un mastino, determinato come un giapponese in un atollo e convinto che l’Impero celeste non è ancora tramontato, sta per sfoderare la sua recuperata verginità davanti allo scandalo del Fatugale, il quartiere della casa scandalo, acquistata a una cifra che non sapeva, velocemente abbandonata di fronte al ludibrio dilagante? Cosa succede, quando a Imperia e a Roma l’ex ministro ha recuperato i suoi colori, la sua visibilità, spesso invocata come quella della Madonna Pellegrina in una Regione dove la sua evanescenza viene vissuta come un lutto che precipita la Destra nel vuoto pneumatico e in gazzarre da pollaio, quando l’opinione pubblica incomincia a metabolizzare quell’ex ministro, noto per il puntiglio e la perseveranza, scivolato così clamorosamente su una vicenda tanto privata?
Succede che le tempeste, previste da tempo e anche annunciate a settembre da Blitzquotidiano, si addensano e scaricano i loro fulmini. Da mesi, dal fatidico mese di maggio, da quando lo scudo protettivo del potere feudale di Scajola sull’imperiese si è incrinato: nulla che tocchi direttamente il ministro ma tant’è…….
A Sanremo esplode Sprecopoli, uno scandalo che travolge decine di dirigenti comunali e svela un mondo di piccole truffe e intrallazzi con autoblù pagate dal Comune e scomparse in uso a privati, benzina succhiata dalle casse pubbliche per far marciare auto private, affitti pagati da pantalone e usufruiti da ignoti parenti di dirigenti. A Bordighera e Vallecrosia si svelano le vicinanze pericolose tra la malavita organizzata e i leader politici del centro destra, come il pimpante ex An Eugenio Minasso, foto, intercettazioni, piovono schizzi di fango un po’ ovunque sui corridoi dell’impero Scajola, mentre il capo non si può difendere, chiuso nella sua reggia di Diano Calderina, a villa Titina, tre curve sopra il cuore di Oneglia, una volta girata la curva che stacca dal liceo Edmondo De Amicis, a un tiro di schioppo dalla villa del grande poeta Angelo Maria Novaro.
Poca poesia nel giardino del ministro che, minuzioso come un certosino prepara la sua difesa, centellina le sue uscite, pubblica dichiarazioni di fuoco, ricomincia a “scendere” a Roma, frequenta Montecitorio, il Transatlantico e alza il muro della sua difesa. I giudici di Perugia non lo hanno neppure iscritto nel registro degli indagati. L’inchiesta sulla casa pagata spropositamente, “a sua insaputa”, diventa un caso da prescrizione. Certo, resta la figura, il soggetto che per l’estate sta facendo ballare molti comici perchè quella frase “ Non lo sapevo” diventa come uno di quegli sfregi che non si staccano, una gag da risata irridente.
Ci scherza Crozza nel suo programma su la 7, ci si diverte Benigni e ovviamente la stampa nemica spara alzo zero tutta l’estate, definendo il ministro “come l’uomo che non sapeva”. Non sapeva quando, a 34 anni da sindaco di Imperia andò improvvidamente a un incontro segreto con il conte Borletti che voleva concorrere all’asta per il Casinò di Sanremo, non sapeva quando espose di Marco Biagi quel giudizio micidiale, in realtà riferitogli da un altro membro dell’allora governo Berlusconi II, non sapeva ora chi gli avesse pagato la casa del Colosseo.
“Ignoranze” che sono costate carceri, processi, assoluzioni piene, esilii dal Governo, dimissioni repentine, fughe a vetri oscurate nelle limousine di Governo, incontri riservati con il Cavaliere a Portofino, a Arcore, per tenere unito un filo di collaborazione che nulla ha definitivamente strappato, neppure questa ultima storia della casa romana, quella che più ha fatto imbufalire il Berlù, ma che nelle intemperie della tempesta politica può rientrare nell’affannoso recupero di seggi, voti e financo competenze.
“Scoppiò da Scilla al Tanai, dall’uno all’altro mar….” L’ultimo scoppio, quello del porto di Imperia con l’inchiesta che indaga sia Claudio Scajola che l’aitante maturo Francesco Bellavista Caltagirone, il costruttore romano socio di affari del Comune di Imperia nella costruzione della mega struttura e socio d’amore di Imperia e della sua terra per il legame sentimentale che lo ha portato in Riviera, grazie alla liason con la bella vedova Beatrice Cozzi Parodi, era previsto dallo stesso ex ministro rientrante.
“Lo sapevo che mi volevano incastrare lì”, ha quasi sorriso, quando il fulmine e il lampo manzoniani si sono scatenati con la news sulle pagine del Corriere: associati per delinquere, il Bellavista e lo Scajola hanno violato la legge per mettersi insieme a fare il mega porto, metà privato e metà pubblico.
Scajola si difende anche con i ricordi quasi infantili: da piccolo, da figlio di un padre sindaco e da fratello di un altro Scajola sindaco, Alessandro e poi lui da sindaco due volte, sognava quel grande porto che avrebbe riscattato Imperia, il più grande attracco mediterraneo per la Nautica. Sognava il grande porto, il giovane Scajola e quando nel 2005, già ministro delle Attività produttive, gli scatta l’occasione ecco che il gioco è fatto. Sbarca in Riviera il Caltagirone e si allea con la bella Beatrice nel grande progetto che in tanti avevano fallito. Ci aveva provato anche il prode Aldo Spinelli, genovese, ex patron del Genoa e ora del Livorno calcio, uno dei più importanti autotrasportatori del paese, re di porti, retroporti, district park. Ma non ce l’aveva fatta a far decollare Imperia. Cosa contestano i giovani giudici imperiesi all’accoppiata Scajola-Caltagirone, cosa scrivono negli atti per giustificare la accusa di associazione per delinquere? Che Bellavista investe e costruisce in cambio di un ingresso romano nell’operazione di sostegno alla nuova Alitalia.
I giudici Maria Antonia di Lazzario e Alessandro Bogliolo sequestrano, perquisiscono, accusano, in un fuoco artificiale fino a ieri impensabile nella Procura di Imperia, dove il titolare, uno “storico” magistrato genovese, Bernardo Di Mattei, ha appena preso la strada della pensione. E’ un po’ quello che è successo a Sanremo, dopo il pensionamento del giudice Italo Galliano, procuratore capo da un ventennio, pensionato ed ora sostituito da un gruppo di magistrati con un’altra età e un altro temperamento.
Insomma, in Liguria dopo la grande inchiesta sul porto di Genova, arrivata un mese fa a una sentenza che ridimensiona quasi completamente le accuse sostenute per tre anni contro l’ex presidente dell’Autorità portuale Giovanni Novi, si incendia un’altra questione, molto sottile, di leggi che governano la gestione degli scali. Chi decide: il diritto penale o quello amministrativo? Caltagirone e Scajola si difendono, sostenendo che l’accordo tra di loro escludeva il ricorso a una gara pubblica per assegnare i lavori del porto, considerata la preponderanza dell’interesse pubblico. Ma quale associazione per delinquere, sostengono, anche davanti al boom dei costi lievitati mostruosamente, dopo l’assegnazione dei lavori. Il porto poi resterà in secula secolurum al Comune di Imperia.
Che ci azzecca il diritto penale con le decisioni amministrative di assegnazioni dei moli, dicevano a Genova i difensori degli imputati accusati di concussione, turbativa d’asta, truffa aggravata. Metri diversi per giudizi diversi.
Dai Casinò, alle case con vista Colosseo, passando per le battute sulle vittime delle Br, fino ai porti e alla loro costruzione: le salite e le discese di Scajola sembrano più dure perfino dei versi manzoniani, in una terra, la Liguria, dove gli scandali stanno scoppiando da Ponente a Levante con una improvvisa perseveranza ritmica, in genere preceduti da esposti anonimi, lettere senza firma e svolazzamenti di corvi, che accusano il potente ministro, oppure anche l’ex eroico presidente del Parco delle Cinque Terre Franco Bonanini, tutt’ora agli arresti domiciliari, accusato di avere fatto la cresta ai fondi pubblici, destinati a tutelare il suo angolo di Paradiso.
Altri corvi si sono messi a volare anche su altri potenti enti genovesi e liguri come la Fiera di Genova, il cui direttore generale, Roberto Urbani, è accusato di sprecare i soldi dell’ Ente in pranzi e consulenze. Piovono lettere, esposti e saette, ma almeno quelle su Scajola sono quasi da poesia epica.
Lui, Scajola, intanto, si difende con le unghie e i denti. ”Non mi sono ancora abituato alle nefandezze e alle falsità. Il popolo è decisamente meglio di coloro che scrivono e utilizzano i media per distruggere le persone, senza sapere, senza approfondire e non pagano mai”. Lo ha detto sabato mattina, nel piazzale davanti al nuovo porto turistico di Imperia, dove ha tenuto un lungo intervento al termine della manifestazione organizzata dal pdl per dimostrargli solidarietà .
ha aggiunto: ”Per me come cittadino, come imperiese e come persona, il porto è un orgoglio e nessuno lo infangherà. Va bene, quando si apre un’inchiesta e si manda un avviso di garanzia a tutela dell’indagato. Ma vorrei chiedere ad alcuni dei giornalisti presenti, se gli articoli che ho letto ancora oggi sono a tutela dell’onorabilità dell’indagato, per esempio quando mi si dice che sono accusato di corruzione e che sono il promotore di una cupola di costruttori che facevano affari”.