ROMA – Il responsabile Domenico Scilipoti, dopo una “gavetta” nella maggioranza di quattro mesi, può ora ben aspirare a una promozione. Ha infatti depositato una proposta di legge alla Camera che di sicura farà la felicità del premier Berlusconi. Le intercettazioni, le odiate intercettazioni, non possono costituire di per sé una prova durante un processo. Una norma, che se approvata, smonterebbe praticamente tutto il materiale d’accusa del processo Ruby o del suo procedimento “figlio” contro Fede, Minetti e Mora.
In sostanza le parole intercettate non valgono così come vengono ascoltate, registrate e verbalizzate. Per poter essere promosse a prova è necessario l’intervento del magistrato che deve trovare un riscontro oggettivo a ogni parola detta.
Finora la Cassazione, ricorda Scilipoti, ha sempre sostenuto che le dichiarazioni di due persone intercettate abbiano di per sé valore ”di prova piena”, salvo ”il prudente apprezzamento del giudice”. Questo perché si ritiene che le dichiarazioni intercettate non possano essere equiparate a quelle accusatorie rese davanti all’ autorità giudiziaria. E la differenza sta nel fatto che mentre quando un testimone o un indagato parla al magistrato potrebbe avere secondo fini nel parlare, nel caso delle intercettazioni invece chi parla lo fa genuinamente, senza secondi fini. In sostanza al telefono o in casa, in macchina, in ufficio (dove potrebbero essere piazzate le cimici) si va “a ruota libera”, davanti a un giudice, no di certo.
Questa è la legge fino a oggi, fino a Scilipoti. Oggi il deputato invece ritiene sorpassata questa convinzione. Perché ormai, secondo Scilipoti, la gente è così ossessionata dalle intercettazioni, così insicura al telefono, così tormentata dall’idea di essere perennemente sotto controllo, che neanche più le telefonate alla mamma o alla fidanzata sono “genuine”. Si parla al telefono o in casa convinti che ci sia sempre un orecchio a controllarci.
Per Scilipoti le abitudini di ciascuno si sono modificate al punto che appare ”assai inverosimile ritenere che l’atto di indagine delle intercettazioni possa essere considerato un atto ‘a sorpresa’. Soprattutto per chi ha avuto a che fare con la giustizia”. Spesso, nelle conversazioni captate, sostiene ancora il deputato, si è constatato come gli intercettati tentino ”dolosamente di ingannare l’interlocutore, esprimendosi in modo tale da non poter comprendere se siano portatori di reali conoscenze o manifestino invece ipotesi, illazioni o congetture”.