
ROMA – Senato, vicino l’accordo tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi sulla Camera alta che verrà. E dall’intesa, non ancora ufficializzata ma di fatto “a un passo” esce fuori un Senato decisamente diverso da quello che Matteo Renzi aveva in mente in un primo momento.
Il premier lo immaginava come una sorta di grande assemblea di sindaci, con poteri decisamente circoscritti. Dopo il lavoro di emendamenti fatto da Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli il Senato si riprende una discreta parte dei poteri che Renzi voleva toglierli. Resta ferma, in ogni caso, la fine del bicameralismo perfetto: il nuovo Senato non potrà togliere la fiducia al governo.
Cambia quasi tutto il resto. A cominciare dalla composizione. Renzi immaginava un’assemblea dei sindaci. Che saranno invece pochi, almeno rispetto a una maggioranza di consiglieri regionali- senatori. Renzi voleva un terzo di sindaci e due terzi di consiglieri regionali, ma alla fine Forza Italia è riuscita a strappare la quota simbolica di un sindaco per ogni regione. Alla fine i sindaci saranno attorno al 25%. Quota che rassicura Berlusconi preoccupato dall’ipotesi di “troppo Pd” nel Senato.
Resta in calendario l’incontro tra Maria Elena Boschi e Paolo Romani. Secondo Francesco Bei di Repubblica:
In realtà l’incontro di oggi tra Paolo Romani e Maria Elena Boschi — oltre ai ripetuti contatti di Denis Verdini con palazzo Chigi — servirà a stabilire con precisione come dovranno essere scelti i futuri senatori. Il problema su cui si stanno scervellando gli sherpa in sostanza è questo: visto che ogni regione ha una legge elettorale con un premio di maggioranza che schiaccia le minoranze, come garantire che le opposizioni siano rappresentate adeguatamente nel futuro Senato? La soluzione, suggerita da Roberto Calderoli, sta nel «voto limitato». Ovvero i consiglieri regionali avranno una scheda con un numero di opzioni inferiore al numero dei senatori da mandare a Roma. In questo modo, giocoforza, anche le opposizioni potranno avere i loro rappresentanti ponderati sul voto reale preso in regione. Al di là dei tecnicismi, quello che conta è che Renzi è convinto di aver strappato l’intesa solo dopo aver mostrato i muscoli. Non solo il sorprendente risultato elettorale, ma anche «la determinazione che abbiamo avuto con i casi Mauro e Mineo» hanno fatto la differenza. Da ultimo, per blindare l’accordo, Renzi ha voluto chiamare a sé tutto il Pd. È successo la sera di martedì, quando a palazzo Chigi il premier ha siglato quello che, scherzando, definisce «un patto di sangue dentro il partito». Assicurate le retrovie, è potuto andare avanti. tenendo per sé la regia della trattativa finale.