Tre uomini e una cifra: ci spiegano, ci raccontano, ci guidano. La cifra, il numero è “tredicimila”. Lavoratori, studenti, politici, giudici, intercettazioni, gol segnati in tutti i Mondiali? No, niente di tutto questo. Tredicimila sono in Italia le “Stazioni appaltanti”. Questa la definizione ufficiali dei “luoghi”, degli enti, comitati e organismi dotati del potere, e soprattutto dei soldi, per concedere e finanziare un appalto pubblico. Tredicimila, una rete che copre tutto il paese a maglia fitta. Tredicimila, in modo che ci sia sempre o ovunque uno sportello a cui bussare o un meccanismo da oliare. Tredicimila portafogli pubblici da aprire con progetti ma anche con telefonate, segnalazioni e amicizie. Tredicimila, un “Grande Giro” che per le sue stesse dimensioni non smette mai di girare. Tredicimila, così tanti che la corruzione possa, non fosse altro per la legge dei grandi numeri, sempre trovare un porto, un albergo, un indirizzo, una casa. Tredicimila “Stazioni” in cui il treno della corruzione, cioè del denaro pubblico sprecato e scambiato come favore e opportunità, possa sempre trovare dei binari su cui circolare. Se questa è la “rete”, se tredicimila sono le “occasioni”, stupirsi che facciano centinaia di “uomini ladri” è meravigliarsi dell’ovvio e probabilmente del voluto.
Il primo dei tre uomini è Paolo Tancredi, senatore del Pdl. Andava ascoltato dal vivo nel pomeriggio del 21 giugno, il giorno in cui si era saputo che aveva, insieme ad altri colleghi senatori dello stesso partito, presentato emendamenti alla manovra per un totale e globale condono edilizio, compresi gli abusi perpetrati nelle “zone protette”. Parlava alla radio della Confindustria, Radio 24. La trasmissione era “Focus economia”. L’intervistatore, sempre più incredulo delle risposte che otteneva, era il giornalista Sebastiano Barisoni. Diceva il senatore Tancredi: “Domani ritiro l’emendamento che ho presentato…L’ho firmato, è vero, ma non sono assolutamente d’accordo…Vi spiego come è andata: Berlusconi ha fatto capire a tutti che si poteva cambiare la manovra. E allora nelle ultime ore prima delle 13 di venerdì 18, termine per la presentazione degli emendamenti, quante pressioni, quanti interessi su di noi…Ci mettiamo in tre, tre senatori del Pdl della Commissione Bilancio del Senato, diamo la nostra disponibilità a firmare quel che ci arriva…Firmiamo ma non leggiamo tutto quel che firmiamo, anzi…Ci arriva roba, tanta dai deputati del Pdl, da quelli della Camera, dai nostri lì che temono poi di non potere cambiare nulla dopo il passaggio al Senato…Vorrei sapere anch’io chi ha messo quelle righe sul condono universale, forse appunto dalla Camera, sono il primo curioso di sapere…”.
Paolo Tancredi ci spiega cosa è la politica nel tempo della cultura del fare: raccogliere “le pressioni, gli interessi…”, metterci un timbro “parlamentare”, rendersi insomma utili ai cittadini e colleghi che “premono”. Anche senza sapere cosa si firma, anche senza leggere, la missione è accogliere e farsi interpreti. Il Senatore Tancredi che si dichiara “il primo curioso” di sapere chi ha scritto quel che lui ha firmato ricorda l’ex ministro Scajola che dichiarò letteralmente di “sospettare che qualcuno avesse pagato la sua casa a sua insaputa”. Prestazione che era sembrata inarrivabile ma che invece è stata eguagliata. Almeno nel suo effetto tragicomico. Questa è la politica e questa è la classe dirigente. Non per caso, è esattamente come la vogliono le “pressioni e gli interessi”. Stavolta dei costruttori e abitanti di case abusive e irregolari, altre volte degli allevatori in guerra con le multe sulle quote latte. Ma anche se si tratta di soldi alla “cultura”, ai teatri o al cinema, il metodo non cambia. E neanche la sostanza: la politica non ha nessun interesse generale da presidiare e difendere, neanche se lo sogna. La sua funzione, accettata e votata, è quella di far da amplificatore, passacarte e sostegno agli interessi della corporazione di riferimento.
Il secondo uomo è Crescenzio Sepe, Cardinale. In una surreale conferenza stampa, spacciata da tutti noi a noi stessi come normale, l’alto prelato spiega e racconta come mai, in tutta regolarità e normalità per carità, assegnava, più o meno gratis, case del Vaticano a ministri e capi della Protezione Civile. E come si faceva assegnare fondi dello Stato italiano per restaurare proprietà immobiliari della Chiesa cattolica. Spiegava il Cardinale che era tutto in regola, tutto legale. Si diceva “sereno” come chi ha sempre tenuto la stessa condotta, da sempre. Non era sfiorato dal dubbio che tale attività, legalissima per carità, non fosse proprio la normalità per un Cardinale. Farsi assistere come consulenti da funzionari e magistrati pubblici per favorire Bertolaso o Lunardi o altri era ed è per Sepe la normalità. E normale gli è sembrato anche far capire a muso abbastanza duro a chi in Vaticano ha alzato qualche mormorio, che questa era la normalità accettata e sottoscritta dal Vaticano stesso. Sepe ha detto in sostanza: sono in buoni rapporti con il Papa e Berlusconi, attenti dunque a toccarmi. Quindi ha raccontato la sua sofferenza di questi giorni, il fastidio che gli viene da queste chiacchiere, come una sofferenza “cristiana”. In maniera sublime ha chiuso il cerchio tra sacro e profano. Il Cardinale Sepe ci ha così spiegato e raccontato qual è l’etica della responsabilità: “Ho fatto tutto sempre nell’interesse della Chiesa”. E tanto basta e deve bastare.
Il terzo uomo è Aldo Brancher. Nominato ministro alla “Attuazione del federalismo” secondo Berlusconi. Dizione poi corretta da Bossi in “Ministro del Decentramento”. Sono passati giorni dalla nomina ma nessuno sa, nessuno ha detto perchè e per cosa sia diventato ministro. Nessuno nel governo e nella maggioranza. Da giorni se lo chiedono i giornali, ultimo e con nettezza il “Corriere della Sera” che ha pregato il governo di disssipare il sospetto, sospetto per carità, che sia diventato ministro per poter usufruire del “legittimo impedimento” ad essere processato per i suoi guai giudiziari. Sospetto, forse calunnia. Di certo in Italia un ministro può essere nominato tale nel silenzio ufficiale sulle sue mansioni e attribuzioni. Aldo Brancher ministro ci spiega e racconta cosa è la trasparenza del potere al tempo degli uomini che “risolvono”.
E gli altri, i non Brancher, i non Sepe, i non Tancredi? Sono tutti in lotta. I sindaci di destra e di sinistra listati a lutto. I governatori delle Regioni di destra e di sinistra sulla barricata. I medici, i farmacisti, gli attori, gli insegnanti, gli autoferrotranvieri, i pescatori, gli allevatori, i ministeriali…Tutti, proprio tutti in lotta contro la manovra che tutti proprio tutti giurano sia necessaria, anzi indispensabile, ci mancherebbe altro. Alla condizione però che quei 26 miliardi in due anni li cacci fuori qualcun altro. Questo è il paese e infatti ben lo rappresentano i suoi rappresentanti: 2000 e passa emendamenti alla manovra, più della metà firmati dai parlamentari dei partiti di governo. Un solo grido di popolo e di palazzo si leva dal paese, “padano” o “terrone” che sia: che nessuno diminuisca il traffico e i convogli nella grande rete che smista i soldi pubblici. Tredicimila sono le “stazioni di appalto”, centomila quelle di spesa. E tutte benedette, sacrosante e presidiate.