Intercettazioni P3, “quattro sfigati” e una missione (fallita): “Accontentare Cesare”

Denis Verdini

Per essere “quattro sfigati in pensione” gli uomini di Cesare si davano davvero un gran da fare. Almeno stando a quanto si legge nelle carte dell’inchiesta sulla P3 che vede coinvolti il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini, Marcello Dell’Utri, Flavio Carboni e Pasquale Lombardi.

Le intercettazioni telefoniche, ricostruite da Massimo Giannini su Repubblica, più che una banda di dopolavoristi affrescano un gruppo di persone attive ed impegnate a fare ciò che “Cesare” desidera più di ogni altra cosa. Lo scenario è quello del contestatissimo Lodo Alfano, votato in Parlamento, prima ancora che la Corte Costituzionale lo giudicasse incompatibile con la Carta. Secondo l’accusa, i quattro (di loro esclusiva e ossequiosa iniziativa?) iniziano quello che è un vero e proprio assedio alla Consulta con l’obiettivo di strappare un sì che alla fine non arriverà. A livello penale non cambia nulla: il reato rimane anche se il colpo non riesce.

“Cesare”, e questo è un fatto, nelle carte è citato 23 volte: è l’uomo cui i quattro affermano di dover  riferire ogni passaggio, ogni tentativo di convincere i giudici. Il 6 ottobre 2009 è previsto un incontro della Corte. Due settimane prima, il 22 settembre, Lombardi si muove e organizza a suon di telefonate un incontro a casa Verdini. Chiama, nell’0rdine, Antonio Martone, e Flavio Carboni a cui dice “sarò là con l’elmetto in testa”. Lo “sfigato”, insomma, va alla guerra. Non male per un pensionato. Dopo Carboni chiama anche Dell’Utri cui dice: “Abbiamo scoperto qualcosa che ti devo riferire di persona, una cosa incredibilmente importante”. Il giorno dopo viene chiamato anche Arcangelo Martino e insieme si decide di convocare anche il sottosegretario Giacomo Caliendo e il capo degli ispettori del ministero della Giustizia Arcibaldo Miller.

Gli incastri, per l’appuntamento non sono facili. Il giudice Martone ha un problema di orari per una riunione col procuratore. Lombardi è spiccio: “Mandalo affanculo che chist’ nun porta voti”.

Di cosa si parla a casa Verdini, dalle carte emerge con chiarezza: “Abbiamo fatto un discorso sulla Corte Costituzionale, amm’ a fa nu poco di conta per vedere quanti sono i nostri e quanti i loro“. In parole povere si cerca di capire quali giudici sono pro o contro la costituzionalità del lodo.

A chi giova tutto questo? Lo spiega ancora Lombardi al telefono con Caliendo: “Ammo a vedè Cesare quanto prima”. Berlusconi, quindi, va informato. Indirettamente lo conferma Dell’Utri che, dopo il presunto incontro dice a Carboni: “L’uomo era molto soddisfatto”. Chi? Se la logica aristotelica ha ancora un senso, si parla di Cesare. Che ritorna qualche giorno dopo quando Martino e e Carboni parlano della candidatura di Nicola Cosentino alla presidenza della Regione Campania: “Credo che sia già arrivato nelle stanze di Cesare, i tribuni ne hanno già dato notizia”.

Da fine settembre i contatti tra i quattro sono quasi quotidiani. Il leit motiv è quello di “informare Cesare” di ogni passo. Sfigati o meno, sulla sentenza della Consulta prevale l’ottimismo, quello che tanto piace a Cesare. Carboni parla a Martino e gli dice: “Aspettiamo i  numeri, diglielo a Cesare che siamo ottimisti”. E i contatti proseguono. Lombardi si procura il numero telefonico dell’ex presidente della Consulta Cesare Mirabelli. Vuole che il giudice lo informi sull’orientamento di voto del giudice Maria Rita Saulle “per vedere se sulla signora possiamo avere un riscontro”.

Il primo ottobre nuovo vertice a casa Verdini. Si aggiunge rispetto ai precedenti commensali anche Vincenzo Carbone, presidente della Cassazione. Anche questo incontro, sembra soddisfacente e viene riferito a Cesare. Il 7 ottobre è il giorno della sentenza. I giudici sono in camera di consiglio. Dell’Utri, Carboni, Martino e Lombardi in un bar poco vicino. Arriva la notizia della bocciatura e Lombardi sbotta: “Noi nun comandamm manco pe o’ cazzo co’ sti 15 rincoglioniti”.  Martino pensa alla reazione di Cesare: “Che figura di merda…”. Che “sfigati”.

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Emiliano Condò