Un mese, quattro deputati dell’Assemblea regionale siciliana indagati in inchieste su mafia e politica. E adesso spunta l’ombra di una connessione del Governatore della Regione con Cosa Nostra. L’arresto del presidente della commissione Cultura, formazione e lavoro Fausto Fagone accende ancora una volta i riflettori sull’Ars e sui rapporti fra mafia e politica. Il provvedimento a carico di Fagone arriva dopo l’avviso di garanzia inviato alla fine di ottobre all’ex assessore Michele Cimino per un’indagine su compravendita di voti ad Agrigento. Ancora prima c’era stato il sequestro dei beni al deputato di Forza del Sud Franco Mineo, indagato perché sospettato di essere socio del figlio di un boss dell’Acquasanta, e la richiesta di arresto dei pm, respinta dai giudici, per il deputato ex Pdl Sicilia Giovanni Cristaudo.
Deputati alle prese con guai giudiziari, cui si aggiunge la notizia che il governatore “Raffaele Lombardo e suo fratello Angelo intrattenevano rapporti con le cosche catanesi di Cosa Nostra”. Lo scrivono i magistrati della direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano, nelle 583 pagine di richiesta di arresto per gli altri politici coinvolti nell’inchiesta. Un documento riservato, filtrato dal riserbo della Procura, nel quale i magistrati Giuseppe Gennaro, Antonino Fanara, Agata Santonocito, Iole Boscarino, con il “visto” del procuratore Vincenzo D’Agata mettono per iscritto di ritenere “provata l’esistenza di risalenti rapporti – diretti e indiretti – degli esponenti di Cosa Nostra della provincia di Catania con Raffaele Lombardo e con Angelo Lombardo”. I magistrati precisano inoltre che si tratterebbe di un “rapporto non occasionale né marginale ma cospicuo, grazie al quale l’uomo politico poteva avvalersi del costante e consistente appoggio elettorale della criminalità organizzata di stampo mafioso a lui vicina”.
Incontri con i boss, finanziamenti pubblici convogliati nelle casse della mafia, favori in cambio di voti, ma anche di sostegno economico alle campagne elettorali. Sono venti anni di rapporti quelli condensati negli atti della Procura di Catania che si spinge fino ai giorni nostri nell’analisi della condotta del presidente della Regione.
Nella richiesta di arresto, la Procura svela le accuse nei confronti del governatore e del fratello (deputato nazionale del Movimento per l’autonomia). Quanto emerge è che i pm ritengono riscontrata l’intercettazione in cui il boss Rosario Di Dio racconta della notte del 26 maggio 2009, in cui Raffaele Lombardo si presentò a casa sua per chiedere voti. Richiesta a cui il boss avrebbe risposto in questo modo: “È inutile che viene per cercare voti, perché voti non ce n’è per Raffaele… io ho rischiato la vita e la galera per lui e le cazzate che ha fatto lui… vuol dire che tu sei munnizza… da me all’una e mezza di notte è venuto ed è stato due ore e mezza, dall’una e mezza alle quattro di mattina… si è mangiato sette sigarette”.
Il riferimento è alla campagna elettorale del 2008, anno in cui Lombardo viene eletto governatore. Secondo quanto riportato nella richiesta di arresto, il primo giugno di quell’anno, Giovanni Barbagallo (per gli investigatori l’uomo che manteneva i contatti fra i Lombardo e le cosche di Cosa Nostra) e il boss Aiello parlano fra di loro, rivelando come la campagna per la presidenza della Regione sia stata finanziata con i soldi dell’estorsione destinati alla costruzione del centro commerciale del Pigno. Queste le parole del boss: “Gli ho dato i soldi nostri! Del Pigno… gli ho dato a lui per la campagna elettorale… i soldi che l’impresa”.
Il ruolo che i pm attribuiscono ad Angelo Lombardo è invece quello di “incaricato della gestione di affari che interessavano in vario modo il gruppo criminale e che chiamavano in causa e postulavano l’esercizio dei poteri decisionali spettanti al fratello Raffaele. Formalmente il referente politico”.
Da Raffaele Lombardo i mafiosi volevano soldi e appalti. “La mafia – scrivono i pm – non supportava Lombardo per ragioni ideali ma operava per ottenere quale contropartita la possibilità di controllare appalti pubblici finanziati e gestiti dalla Regione o alimentati da risorse statali o comunitarie”. E di soldi pubblici nelle casse delle cosche catanesi ne sarebbero entrati e non pochi a giudicare dalle parole di Barbagallo che al boss Vincenzo Aiello fa così i conti: “Perché io Enzo per quello che ho potuto fare 22 milioni di euro li ho fatti arrivare”.
* Scuola di Giornalismo Luiss