ROMA – Dove va il Pdl? Da una parte il terremoto Polverini dell’ennesimo Lazio-gate, dall’altra l’attendismo di Berlusconi confortato da un 22% lusinghiero oltre le più rosee aspettative nei sondaggi, a un paio di punti percentuali dai Democratici dati con troppo anticipo quali vincitori in pectore delle prossime elezioni. All’orizzonte si profila la nuvola nera di una fatale (per le speranze residue di recupero) scissione con gli ex An, oppure il sereno sbiadito ma confortevole di una sopravvivenza attiva, magari suscettibile di ulteriori gratificazioni con una legge elettorale più compiacente?
E’ il paradosso del Pdl attuale che Berlusconi, per una volta temporeggiatore e tattico fino all’immobilismo, cerca di tenere unito nonostante le minacce di Polverini, i malumori degli ex colonnelli An, il tutti contro tutti a malapena trattenuto dalla riserva che il leader non scioglie su una sua eventuale ridiscesa in campo. Ha convocato ieri una riunione d’urgenza non prima di aver provato in tutti i modi di dissuadere Polverini dal rassegnare le dimissioni. Letali per il centrodestra, secondo Berlusconi, che nel frattempo esibiva ai suoi quel 22% che smentisce il luogo comune di un partito attaccato al defibrillatore.
Certo questa tempesta giudiziaria non ci voleva. Ma, è il ragionamento, se Polverini si dimette il Pdl perde le elezioni regionali a febbraio, provocando un effetto domino in Lombardia, in Sicilia, altre regioni non avare di scandali interni. Effetto domino moltiplicato dall’effetto trascinamento: perse le regionali la sconfitta si estenderebbe a comunali e politiche.
Polverini per ora non molla, Berlusconi l’apprezza al punto che qualcuno gli ha addirittura attribuito dichiarazioni impegnative quale possibile prossima candidata a premier Pdl, anche se pericolosi spifferi annunciano una nuova ondata di fango che potrebbe travolgerla dal mare di carte a disposizione della Procura (e dalla difesa vendicativa di Batman Fiorito). Così sta facendo il possibile con Tajani, padrino politico del capogruppo Pdl Battistoni e del presidente del Consiglio regionale Abbruzzese perché mollino la poltrona (il primo ha accettato e si è dimesso all’ora a pranzo, il secondo non vuol farsi imporre decisioni da una che non appartiene nemmeno al partito).
Il problema della scissione esiste o è una pistola scarica puntata dai preoccupatissimi ex An, La Russa e Gasparri le teste d’ariete, per le prossime candidature? La Russa, prima di salire a Palazzo Grazioli, non esitava a confessare che se “uniti si perde”, meglio attrezzarsi per tempo. Gasparri preferisce battagliare dall’interno, ma le amicizie sono sacre e se La Russa rompe gli ormeggi per imbarcarsi con Storace e i delusi di Fini per una nuova Cosa di destra, lui ci sta. Chiedono nel frattempo a Berlusconi assicurazioni sui posti in lista e le preferenze. Vogliono tra i 50 e i 60 posti in lista, Berlusconi è disposto a offrirgliene una quindicina. Sulle preferenze, su cui contano gli ex An per “fare le scarpe agli ex Forza Italia” (La Stampa), Berlusconi non ha deciso. Questa è merce di scambio nella partita sulla legge elettorale, e può essere sacrificata magari per un premio di maggioranza al partito vincente molto basso. Ma per questo bisogna aspettare cosa succede in Sicilia a fine ottobre: prima di allora Berlusconi deve mordere il freno e tenere chiusa la stalla.