«È una vittoria per il diritto internazionale, per la giustizia, per la causa saharawi»: due parole ai giornalisti uscendo in sedia a rotelle dall’ospedale di Lanzarote, poi subito via verso l’aeroporto.
Sono le undici di sera passate del 17 dicembre. La fine della dolorosa vicenda di Aminatou Haidar, la militante del Sahara Occidentale espulsa dalla sua città Elayoun, dove vive con i due figli e con la madre. E poco prima di mezzanotte l’aereo inviato a Lanzarote dal governo spagnolo per riportarla nel Sahara Occidentale decolla, con a bordo Aminatu, la sorella Laila, il direttore dell’ ospedale di Lanzarote, dove è stata ricoverata la notte prima al trenduesimo giorno dello sciopero della fame, dopo avere vomitato sangue, il dottor Domingo de Guzman.
Poco prima la stampa spagnola aveva annunciato un accordo fra Madrid e Rabat sul ritorno a casa della donna. Il ministro degli esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos, nel pomeriggio di ieri, davanti a una commissione parlamentare aveva detto di sperare di poter annunciare rapidamente la soluzione del caso.
Mercoledi lo stesso premier Josè Luis Zapatero, duramente criticato dall’opposizione per come Madrid aveva gestito il caso Haidar, aveva detto di sperare in una «soluzione rapida e positiva».
Secondo El Pais sono stati gli Usa a effettuare la mediazione decisiva con il re del Marocco Mohamed VI, che finora aveva mostrato una assoluta intransigenza. Ieri sera l’Eliseo ha fatto sapere che anche il presidente francese Nicolas Sarkozy si è adoperato a favore dell’attivista.
Il Marocco aveva fatto sapere nelle scorse settimane che Aminatu sarebbe tornata solo dopo avere «chiesto scusa al re». Cosa che lei naturalmente non ha fatto. Ancora più determinata aveva annunciato che sarebbe comunque tornata a Elayoun, «viva o morta», e che era pronta a portare lo sciopero della fame fino alla fine. Questo in nome anche della causa saharawi e degli altri cittadini del Sahara Occidentale, occupato dal 1975 dal Marocco, come lei espulsi e privati di passaporto.
Il Marocco era rimasto insensibile agli appelli dei governi occidentali, alla pressione crescente della comunità internazionale, agli interventi di Ue, Onu, Usa. Ma le condanne piovute da quasi tutto il pianeta sembrano avere indotto Rabat a cambiare rotta. El Pais ha parlato di una mediazione decisiva del segretario di stato Usa Hillary Clinton e dell’invio a Wwashington di due emissari di Mohamed VI, fra cui il capo dei servizi segreti di Rabat. Esponenti della cultura, dello spettacolo e tre Premi Nobel avevano inoltre lanciato un appello la settimana scorsa a Juan Carlos di Borbone, chiedendogli di intervenire presso il re del Marocco.
Non è chiaro al momento se il re di Spagna si sia mosso. I particolari dell’accordo che ha consentito il ritorno di Haidar ancora non sono noti. Certo per Rabat la vicenda sembra risolversi in una sconfitta politica. Aminatu torna a casa, e inoltre il suo lungo e drammatico sciopero della fame ha riportato sotto i proiettori internazionali la questione saharawi che sembrava ormai caduta nel dimenticatoio.
