ROMA – Torna sotto i riflettori il venir meno del divieto degli incroci azionari fra stampa e televisioni contenuto nel decreto Milleproroghe. L’Antitrust, deputata anche al vaglio dei conflitti di interesse dei membri del governo, in una nota ha fatto sapere che il presidente del Consiglio violerebbe le norme della legge sul conflitto di interessi se potesse decidere sulla proroga o meno oltre il 31 marzo dell’attuale divieto di incroci azionari tra stampa e tv.
“La disciplina di un settore sensibile come quello editoriale richiedeva un atteggiamento di precauzione che evitasse l’attribuzione di ogni potere discrezionale in capo al presidente del Consiglio” sottolinea l’autorità. Il m0tivo: “L’adozione o la mancata adozione dell’atto di proroga, anche senza integrare automaticamente una fattispecie di conflitto di interessi, dovranno essere valutati — si legge in una nota dell’Antitrust— per verificare l’incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del presidente del Consiglio e il danno per l’interesse pubblico”.
In un primo tempo, ricorda il Corriere della Sera, la proroga del divieto era stata prevista per tutto il 2012, con l’ok dell’Antitrust in considerazione della maggior tutela del pluralismo dell’informazione. Ma con il maxiemendamento del governo, seguito alle osservazioni del Quirinale, il termine del divieto è stato portato al 31 marzo con la previsione di una ulteriore proroga.
Per il vicedirettore del Giornale Nicola Porro, però il “bersaglio è sbagliato. Berlusconi è in conflitto di interessi, ma è stato, anche se involontariamente, il Quirinale a stringerlo in un angolo bocciando la prima versione del Milleproroghe. La materia è ingarbugliata, ma vale la pena seguire brevemente questa storia. Facciamo dunque un passo indietro”.
La legge Gasparri prevedeva il divieto per chi avesse più di due reti televisive analogiche a diffusione nazionale di possedere partecipazioni nella carta stampata. Questo fino al dicembre 2010, visto che dopo, sottolinea Porro, “il panorama televisivo grazie al digitale terrestre e alle evoluzioni della tecnologia sarebbe mutato”.
Il divieto, scrive Mario Sensini sul Corriere, doveva scattare per i soggetti che conseguono più dell’8% dei ricavi complessivi del sistema delle comunicazioni e del 40% del settore delle comunicazioni elettroniche. Il problema è che questi parametri sono molto difficili da accertare, tanto che l’ultima stima dell’Autorità garante delle Comunicazioni risale addirittura al 2008.
Alla fine, dopo le osservazioni dell’Autorità garante per le comunicazioni, aveva ribadito nel decreto Milleproroghe il no assoluto alla commistione giornali-tv. Ma nella seconda versione del decreto, seguita alle osservazioni di Giorgio Napolitano, e oggi contestata a sua volta dall’Antitrust, il governo ha dovuto eliminare ogni riferimento al Sistema integrato delle Comunicazioni, non gradito al Quirinale, e ha ribadito solo fino al 31 marzo di quest’anno il medesimo divieto della Gasparri, ma rivolto solo a quei soggetti che hanno più di una televisione in ambito nazionale.
