Stato contro Stato: percorso di guerra. 35 giorni di tortura all’Italia. E il 17 marzo festa di chiusura

ROMA – È un percorso di guerra, saranno i 35 giorni più tristi del quasi ventennio da quando Silvio Berlusconi andò a nozze con il paese chiamato Italia, era l’inizio degli anni novanta del secolo scorso…

Il nove febbraio 2011 la Procura di Milano chiede processo a carico di Berlusconi per “concussione” e “prostituzione minorile”. Il giudice per le indagini preliminari entro cinque giorni, ma può prendere più tempo, deciderà se dire sì alla richiesta di “rito abbreviato”, cioè al processo che si celebra appena possibile perché c’è “evidenza di prove”. Se la risposta del Gip sarà sì, il processo partirà entro marzo/aprile e saranno udienze in cui sfileranno a testimoniare soprattutto prostitute: una tortura per l’Italia prima ancora che per l’imputato.

Il nove febbraio il premier in carica dichiara: “È uno schifo, farò causa allo Stato”. Se mai ci sarà, questa causa sarà probabilmente la prima al mondo in cui un capo di governo chiede la pubblica punizione di un potere del suo stesso Stato. Punizione a cui il governo lavora anche con una legge in cantiere. Una tortura per l’Italia prima ancora che per i giudici da punire.

Il nove febbraio il maggiore e più importante alleato politici e di governo del premier, Umberto Bossi, dichiara: “Le cose le ha fatte lui, mica io… se Berlusconi sta lì è perchè ci sono delle colpe di tutti, ma il Parlamento si è espresso a maggioranza assoluta… i giudici non rispondono più a nulla, attaccano e si va verso la guerra totale”. Bossi è ministro della Repubblica oltre che leader del partito che tiene in piedi il governo, la sua visione e lettura dello Stato e delle leggi è quella che “chi ha fatto le cose” se votato dal Parlamento è immune dalle conseguenze delle “cose fatte”. La sua previsione e analisi è quella della “guerra totale” tra magistratura e Parlamento, una musica che è appena una tonalità sotto il suono della guerra civile.

Il nove febbraio Berlusconi ripete: “Non c’è concussione, mi sono mosso per evitare un incidente diplomatico internazionale”. Dunque giura che quella notte delle telefonate in Questura a Milano sinceramente credeva che Ruby fosse la nipote di Mubarak. E’ la tesi votata a maggioranza quasi piena dall’aula della Camera dei deputati. La tesi secondo la quale il premier è così ingenuo e sprovveduto da farsi ingannare da una ragazza scappata di casa e ospitata più o meno per caso a casa sua. La tesi che non spiega perchè la “nipote di Mubarak” sia stata affidata alla Minetti e poi alla brasiliana Michelle e non all’ambasciata egiziana. La tesi che non spiega perchè nessuno dalla Questura telefonò al premier per rassicurarlo che nessun incidente internazionale poteva avvenire dopo aver accertato che Ruby era marocchina e per niente nipote. La tesi che ignora la domanda sul perchè mai non fu lanciato un ovvio “falso allarme” che avrebbe fatto indubbio piacere a un premier in ansia per il rischio di “incidente diplomatico”. Una tesi che è una tortura per il buon senso elementare, perfino per la dignità intellettiva di chi “deve” crederci.

Il 15 febbraio il governo porta in Commissione Giustizia alla Camera il “processo breve”. Cioè la legge che fa evaporare i processi non conclusi entro sei anni nei tre gradi di giudizio. Il processo breve che Berlusconi disse di non voler e di non averne bisogno. Il processo breve fermato da Fini, con sollievo di Napolitano. Il processo breve che il 15 febbraio sarà la prima pietra dell’edificio anti magistratura, la prima colonna corazzata della controffensiva di Berlusconi contro i giudici “impuniti e impunibili”. Seguiranno il divieto di intercettazioni telefoniche e la sanzione pecuniaria ai magistrati.

Il 28 febbraio si apre il processo Mediaset, quello in cui Berlusconi deve rispondere di reati finanziari e fiscali.

Il 5 marzo si apre il processo Mediatrade, quello in cui Berlusconi deve rispondere di analoghi reati in ipotesi compiuti nella compra vendita di diritti cinematografici.

L’undici di marzo si apre il processo Mills, quello in cui Berlusconi deve rispondere di corruzione. Il corrotto già c’è, con sentenza definitiva. Corrotto per aver ottenuto circa 600mila dollari per rendere testimonianza incompleta, incompleta a vantaggio del corruttore. E’ il processo in cui Berlusconi rischia quasi sicura condanna.

Tutti e tre i processi sono ripartiti dopo lunga “ibernazione”: erano bloccati dalla legge voluta dal governo e chiamata “legittimo impedimento”. Consentiva al premier di non presentarsi e di attendere che con lo scorrere del tempo i processi “scadessero” per prescrizione. Il legittimo impedimento automatico, sicuro e garantito è stato bocciato dalla Corte Costituzionale. Come che vada, sarà una tortura per l’immagine e la sostanza dell’intero paese. Delle due l’una: o un premier che fugge tutti e tre i processi, oppure un premier alla sbarra tre volte in neanche due settimane.

L’undici marzo un vertice europeo stenderà i termini dell’accordo, dei nuovi connotati economici e finanziari da dare all’Unione Europa. Sarà l’appuntamento decisivo per la ratifica fissata al 24 marzo. Si deciderà di banche, debito, deficit, tasse, moneta, produttività, regole e sanzioni per stare insieme. Quel giorno l’Italia sarà però nel pieno della sua “guerra totale”, quasi civile. Sotto minaccia di “golpe” come dice Giuliano Ferrara che passa come uno dei “pacifisti”, brillante stratega ma pacifista dell’esercito del premier. Un golpe organizzato da chi? Dai giudici, dai comunisti? No, troppo facile e banale, il golpe che secondo Giuliano Ferrara minaccia l’Italia ha il suo mandante altrove, è “Golpe morale”. Insomma la morale è intimamente eversiva.

Il 17 marzo il Parlamento sarà in seduta a Camere riunite per celebrare i 150 anni del paese unito. Al 9 febbraio non si sa e il governo non sa dire se sarà festa nazionale o no a tutti gli effetti. Non si sa se si lavora o no, ma si sa che per la Lega sono “soldi buttati”, che per Confindustria è festa sì ma non fino in fondo, che mezzo governo vuole e l’altro mezzo non vuole. E come il governo divisi sono i sindacati. E che dall’Alto Adige alla Sicilia si chiamano fuori dalla festa di una unità nazionale che raccontano subita e sopportata ma in fondo mai voluta. Sarà il 17 marzo la festa di chiusura, forse di una legislatura, più probabilmente di un paese.

Published by
Mino Fuccillo